Un riformista in mezzo ai rivoluzionari
COSENZA Forse la maggior parte delle persone lo ricorderà col saio da monaco durante le molte repliche dello spettacolo di Sergio Crocco “Conzativicci”, mentre strappava risate gustose, lui che invec…

COSENZA Forse la maggior parte delle persone lo ricorderà col saio da monaco durante le molte repliche dello spettacolo di Sergio Crocco “Conzativicci”, mentre strappava risate gustose, lui che invece aveva un sorriso così carico di una specie di malinconia, come chi avrebbe molte storie da raccontare ma sa che intanto ogni cosa è cambiata. Gianfranco Aloe, scomparso ieri in seguito a una grave malattia, è stato un pezzo di questa città, di come è stata Cosenza, della passione politica che un tempo l’abitava, del senso civico della comunità cui apparteneva. Uno dei non tanti socialisti cosentini che portava in tasca la tessera del Psi con fierezza e non per calcolo clientelare, autenticamente riformista, capace di parlare senza fatica con le frange dure e pure dei movimenti degli anni settanta, alle quali rimproverava un estremismo sterile, lui che invece era persuaso che politica si potesse fare stando dentro le istituzioni. Il dispetto maggiore che potessero fargli in quegli anni difficili era quello di chiamarlo moderato, perché davvero non lo era per nulla sui temi della politica e della necessità di cambiare le cose.
E come i socialisti veri, cresciuti all’ombra del vecchio Mancini, Gianfranco era un militante libertario e genuinamente garantista, quando esserlo non era per nulla di moda, né facile, anzi attirava giudizi sommari e spietati. Veniva da una famiglia numerosa, da un quartiere popolare della città, e l’approdo al Psi gli fu naturale, nella sua ansiosa ricerca di una idea di riscatto sociale, di uguaglianza tra gli uomini. Nella sede storica – ormai dimenticata dai più – del vecchio Psi, dove si consumavano tradimenti e si ordivano trame degne di una corte rinascimentale al fine di trovare candidature, muovere pacchetti di voti oppure costruire alleanze opportunistiche, Gianfranco, assieme al suo amico e compagno, Michele Stumpo, scomparso anche lui di recente, poteva sembrare carne tenera per i denti famelici dei capi corrente di un partito in cui nemmeno Craxi era riuscito a placare la tentazione cannibale, e invece ai giochi di bassa strategia loro opponevano il ragionamento colto, la riflessione politica, lo spessore umano e la passione non corrotta. Va da sé che non vinsero mai nessuna battaglia, ma la loro idea di politica rimase immacolata. Tra gli studenti e poi nei posti di lavoro erano gli epigoni di un socialismo sospeso tra il romanticismo e la pratica dell’impegno, protagonisti di fermenti culturali che numerosi attraversavano Cosenza, tra dibattiti organizzati nel Centro studi Pietro Mancini e la libreria Feltrinelli, che una volta era nel cuore della città vecchia. Il mutamento e la diaspora socialista lo avevano fatto soffrire, ma lui era rimasto quasi solitario sulla barricata del “Sol dell’Avvenire”, guardando con stupore severo chi intanto trovava rifugio sotto altre bandiere, magari lontane dalla storia socialista. Di lui l’enorme pubblico di Conzativicci ricorderà l’allegria e l’ironia del personaggio che interpretava, qualcun altro invece manterrà nella memoria l’immagine di Gianfranco che in una lontanissima e strapiena manifestazione degli inizi degli anni settanta, in una Cosenza piovosa e immensamente diversa da quella di adesso, solcava imperturbabile i cordoni del movimento studentesco, tenendo in mano la copie dell’Avanti. Un riformista in mezzo ai rivoluzionari.
Michele Giacomantonio
m.giacomantonio@corrierecal.it