Comuni dissestati
Sono tanti i Comuni dichiarati in dissesto dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, sia per disssesto guidato che di quello conseguente alla bocciatura dei cosiddetti piano di rien…
Sono tanti i Comuni dichiarati in dissesto dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, sia per disssesto guidato che di quello conseguente alla bocciatura dei cosiddetti piano di rientro. Il record assoluto (negativo) spetta (come al solito) alla Calabria, che ne registra ultimamente qualche decina al mese, ove la procedura anti-default ha mostrato un fascino particolare. Una cosa normale in una regione anormale, ove i furbi (che abbondano nel ceto dirigenziale) sperano “per contratto divino” negli interventi miracolosi – che il legislatore propina sovente- mente a mo’ di periodico condono – approvati ad hoc. Quegli strumenti e quelle occasioni introdotti nell’ordinamento per favorire gli inadempienti cronici piuttosto che per sanzionare (come invece si dovrebbe) coloro i quali si rendono colpevoli della cattiva amministrazione e della malversazione del denaro pubblico. La causa degli anzidetti dissesti, conseguenti alle maldestre pratiche di salvataggio frequentati dagli amministratori più creativi, è quasi sempre la stessa: i tentativi spesso dissennati di riequilibrare i loro bilanci esperiti attraverso l’accesso alla procedura di cui agli articoli 243 bis-quater del vigente Tuel. Sono stati molti i sindaci che, non sapendo cosa fare, hanno provato – d’impeto oppure con palese strumentalità – ad accedere al cosiddetto pre- dissesto sottovalutando la portata dello specifico disposto, sperando che alla fine la politica avrebbe, comunque, risolto il problema. Un po’ quello che sta accadendo con il fiscal compact e con gli impegni finanziari da esso derivanti a livello dell’Unione europea, trascurati sino ad oggi, supponendo una soluzione comunitaria, del tipo “simmo ‘e Napule paisà”. Non sarà così. Dunque, Comuni dissestati e cittadini allo sbando, spesso i più poveri del Paese in termini di redditività e occupazione, costretti a pagare il massimo del dovuto in termini di fiscalità locale – che ha raggiunto valori insopportabili e insostenibili – specie se messi in doveroso rapporto con il contemporaneo impoverimento delle tasche della collettività, oramai senza lavoro e senza crescita. Non solo.
Con i servizi pubblici rasi al suolo e il patrimonio in svendita, che però nessuno compra. Insomma, un bel problema, con le situazioni sfuggite di mano ai sindaci, che invero hanno spesso dato prova di una loro non eccellente capacità a gestire la res pubblica locale, quasi a sollecitare la necessità di prevedere una loro preventiva formazione tipica. Una sorta di scuola per sindaci, dalla quale godere in termini di saggio approvvigionamento di amministratori territoriali, finalmente degni di questo nome. La conseguenza generale del “pol- lice verso” della Corte dei conti. Quanto ai conti pubblici, piove sul bagnato. Alle difficoltà derivanti al bilancio della Repubblica (articolo 114 della Costituzione), dallo stato di Comune dissestato se ne aggiunge un altro di non poco conto. Con il decreto legge 35/2013 si è dato modo ai Comuni (tutti) di accedere a corposi fi- nanziamenti, peraltro produttivi di interessi moratori, per saldare i debiti verso il sistema imprenditoriale divenuti certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2012. La stessa cosa sta avvenendo in forza del decreto legge 66/2014 per i debiti di fornitura perfezionati entro la fine del 2103, che tra l’altro impone contrattualmente la rimodulazione dei piani di rientro ancora ope iudicis. A fronte di tali decreti legge – puntualmente convertiti –, sono state erogate in favore dei Comuni richiedenti, ex articolo 1 di entrambi i decreti legislativi del rispettivo contratto di anticipazione, le somme necessarie a cura della Cassa depositi e prestiti spa a seguito di specifici mutui trentennali da perfezionare definitivamente. Tutta questa “generosità” è avvenuta per volontà dei tre ultimi governi (Monti, Letta e Renzi) e prescindere dalle garanzie offerte dal “tesoro” dei Comuni richiedenti. Sarà, quindi, un bel da farsi per la Cassa depositi e prestiti (Cddpp) intervenire, così come già avvenuto in alcune realtà locali, con la risoluzione immediata del relativo contratto di anticipazione di finanziamento (articolo 10, comma 1, punto 3), ma soprattutto riprendere indietro quanto erogato. La situazione fallimentare vissuta dagli enti dissestati non consentirà, infatti, agli stessi di eseguire positivamente gli adempimenti contrattuali relativi. Per altri versi, la società per azioni a controllo pubblico creditrice (Cddpp) non avrà la possibilità di tentare, al riguardo, gli ordinari strumenti giudiziari di cui gode il creditore nei confronti del sistema imprenditoriale privato per imporgli l’adempimento restitutorio. Cosa succederà, attesa la non estensione agli enti pubblici locali della disciplina fallimentare, espropriativa ed esecutiva, sulle somme destinate all’esercizio delle funzioni fondamentali? Da chi e come saranno onorati gli impegni restitutori nei confronti della Cddpp che emette i buoni fruttiferi postali garantiti dallo Stato e garantisce il finanziamento degli investimenti statali e di altri enti pubblici, ivi compresi le Regioni e i Comuni? Un altro problema per il governo presieduto da Matteo Renzi, chiamato ad affrontare non solo i problemi propri, dettati dalla più attuale agenda politica, ma anche i tanti lasciati irrisolti dagli esecutivi precedenti.
*docente Unical