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C'è bisogno di regole

I ricordi sono ormai lontani, riguardano la fanciullezza trascorsa in Sicilia nel paese che mi ha dato i natali. Si era in pieno Dopoguerra, ma ancora era possibile vedere le piaghe che il conflitto…

Pubblicato il: 24/10/2014 – 16:43
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I ricordi sono ormai lontani, riguardano la fanciullezza trascorsa in Sicilia nel paese che mi ha dato i natali. Si era in pieno Dopoguerra, ma ancora era possibile vedere le piaghe che il conflitto aveva lasciato. C’era miseria ovunque; nulle le occasioni di lavoro. Non si parlava ancora di ricostruzione e la fame era tanta. Il pane era razionato, si comprava con la tessera: un tanto al giorno.

Con una tale situazione era normale che il mercato clandestino – la cosiddetta “borsa nera” – prendesse piede e si divulgasse; il contrabbando fioriva ovunque e, in mancanza di liquidità, lo scambio avveniva con i beni di famiglia. Le disperate condizioni economiche indussero molti cittadini a cercare altrove fortuna e parecchi espatriarono in continenti lontani in cerca di lavoro. C’erano tutte le condizioni perché le varie consorterie mafiose, già presenti nelle regioni del Sud, trovassero nuova linfa con il contrabbando, fonte di facili guadagni fatti di soprusi e di violazione delle norme.
Allora come oggi la mafia era il vero cancro per lo sviluppo del Meridione. È il segno che oggi, come allora, i governi che si sono succeduti non hanno fatto a sufficienza per estirpare questa pianta infestante. E ancora sembra che non si voglia affrontare adeguatamente e con serietà il tema, nonostante le parole che continuano a essere sprecate in tutte le occasioni. Il presidente del Consiglio nei giorni scorsi, ad Assisi, nella ricorrenza di San Francesco ha detto che «in Italia ci sono molte cose da riparare». Chissà se si riferiva anche alla lotta alla ’ndrangheta, alla camorra, alla mafia e alla Sacra corona che avrebbe effettivamente bisogno di un serio intervento governativo visto che sono proprio i nostri governanti a sostenere che il Sud non decolla per l’azione della criminalità organizzata. Ma allora perché non la si combatte a dovere?
Perché non si assumono iniziative drastiche che possano instaurare la legalità in quei territori? E, invece, l’impressione che si ha è che si dicano belle parole, che si enuncino buoni propositi, ma che non seguano i fatti, che diventano annacquati dal tempo che inesorabilmente trascorre finché non sopraggiunge un nuovo problema a catalizzare l’attenzione. Eppure, quello dell’influenza dei poteri mafiosi sui territori è un problema importante e molto sentito dalle popolazioni che lo ritengono la più importante concausa del venir meno della fiducia nelle istituzioni che non hanno mai dimostrato risolutezza ad intervenire in modo da combattere e vincere quelle cause. Sbaglia chi pensa che il Paese non abbia alzato lo sguardo per capire che tra le politiche finalizzate a favorire la crescita è indispensabile che vi sia anche una seria lotta alla delinquenza organizzata e al malaffare in qualsiasi parte esso si annidi; sbaglia chi non lo considera un impegno tra le tante priorità; sbaglia chi pensa che non bisogna ricorrere a iniziative eccezionali come straordinari furono i poteri che il governo conferì al prefetto Cesare Mori per condurre la lotta al banditismo in Sicilia.
Il Sud si aspetta come obiettivo una politica di interventi a 360 gradi, ma il primo deve essere il contrasto al malaffare. Diversamente il pericolo dell’aggravarsi del processo di balcanizzazione rischia non solo di accentuarsi quanto potrebbe diventare endemico. Il pericolo c’è ed è reale: gli interessi sono mossi dal denaro e, probabilmente, nemmeno i nostri avi avevano immaginato che quella organizzazione romanticista cui hanno dato vita per sovrintendere sulla comunità e intervenire sui soprusi, potesse poi trasformarsi in uno strumento di oppressione e di prepotenza.
Il percorso di riscatto di questa parte estrema della Penisola deve iniziare proprio dalle critiche al sistema che appare disattento ai bisogni delle popolazioni le quali dovrebbero uscire dall’atavica “bonomia” per pretendere controlli e lotte serie al fenomeno mafioso senza sconti per nessuno, soprattutto per coloro che dicono di rappresentare i cittadini nelle istituzioni. A loro, tra l’altro, compete il dovere di creare le condizioni per migliorare anche le strutture amministrate; lavoro – questo – essenziale per la costruzione di un nuovo rapporto con la società, a sua volta chiamata in causa per promuovere una diversa realtà alla quale richiedere l’onere di mettere all’indice la sofisticata e agguerrita consorteria mafiosa. È un risanamento che richiede tempi lunghi, ma se non si comincia non si arriva mai. Crescita e lavoro nascono dalle imprese private che fanno sapere di non voler investire al Sud proprio a causa della minaccia che rappresenta la delinquenza. La funzione pubblica deve creare i presupposti per rendere sicuro (da quel punto di vista) il territorio perché, senza le condizioni per la crescita, tutti i discorsi sono destinati a rimanere parole vuote, affidate al vento.
Senza una severa lotta alla criminalità qualsiasi investimento sarà destinato a non produrre effetti, e la debolezza del Sud continuerà solo a foraggiare i soliti noti e la demagogia. E, invece, bisogna lavorare per fare arrivare anche in questa parte del Paese gli imprenditori, però quelli veri, non quelli che, esauriti i filoni degli interventi pubblici e prosciugata quel poco di ricchezza disponibile, vanno via lasciando più povertà e desolazione.
Ecco le condizioni affinché i margini per una ripresa di questa parte del Paese – senza più essere piagnucolona ed elemosinante – possano essere reali e determinare risultati importanti anche per il resto dell’Italia. C’è bisogno di regole. Ne tenga conto il governo che deve garantirle. Solo così sarà possibile attrarre lavoro e benessere al Sud.

*Giornalista

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