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La ricetta tedesca

Se parla un tedesco oggi, tutti a bocca aperta ad ascoltarlo. Se poi, per ventura, si chiama Angela Merkel, tutti sugli attenti. Se parlava una volta, del tedesco non rimaneva che il suono gutturale…

Pubblicato il: 24/10/2014 – 16:46
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Se parla un tedesco oggi, tutti a bocca aperta ad ascoltarlo. Se poi, per ventura, si chiama Angela Merkel, tutti sugli attenti. Se parlava una volta, del tedesco non rimaneva che il suono gutturale, fino a quando non arrivò Hitler che – per lungo tempo – non ebbe bisogno di parlare. Bastava un suo gesto, un batter di ciglia, un rumore di tacchi e succedeva la… fine del mondo. Così come è, alla fine, successo. Ne sa qualcosa il mio povero padre che, come ho scritto nel volume, edito da Pellegrini, “I diari di mio padre 1938-1946” partì per fare il servizio militare e tornò a casa, per volontà di Dio, meno di quegli uomini, nove anni dopo.
Questo per dire, che quando i tedeschi – che hanno ricostruito il loro Paese, prima e meglio di noi, pur avendone responsabilità maggiori e più danni – parlano, non c’è nessuno che non obbedisca. I fatti hanno dato loro ragione.
Oggi, al di là delle diatribe europee Renzi-Hollande, Merkel-Renzi, il capo della Bundesbank, Jens Weidmann, nel corso del vertice della Banca centrale europea a Napoli, non ha avuto difficoltà alcuna a parlare – dopo aver comprato cravatte, mangiato una pizza, gustato un gelato – coi giornalisti. L’attuale presidente della Bce, Mario Draghi, quando era governatore della Banca d’Italia, venne all’Università della Calabria per una lectio magistralis, e io mi ero illuso, arrivando un’ora prima, di poter fare uno scoop, intervistando Draghi. Il primo approccio fu educato, ma non gentile. Alla fine della lezione mi riavvicinai e lui, ancora più freddo, mi rispose: «Il governatore non rilascia interviste. Avrebbe potuto seguire la mia lezione. Io, a dire il vero, avrei voluto parlare d’altro, non di cose incomprensibili e aride o solo per addetti ai lavori. Niente affatto. Senza speranza, accompagnato dalla scorta lasciò Arcavacata e andò via. A me non rimase che fare una notizia filmata, di poche righe.Diverso è stato il comportamento di Weidmann: si è detto soddisfatto del vertice della Banca centrale europea, si è pronunciato sulla necessità di fare le riforme, compresa quella sul lavoro. Insomma, ha messo a disposizione di altri europei il suo pensiero e il suo sapere. Ha parlato di Renzi, dei suoi proponimenti, della necessità di creare le condizioni per la stabilità anche per evitare le debolezze dell’Eurozona. E poi? Il presidente della Bundesbank ha affrontato il caso Mezzogiorno, dentro il quale ci sta tutta la questione meridionale e il caso Calabria.
Da noi – ha detto Weidmann a Paolo Picone del Corriere della Sera – dopo la riunificazione tra l’Est e l’Ovest, sono piovuti in massa investimenti, con l’arrivo di imprenditori da tutto l’Ovest. Avevano, evidentemente, creduto nelle politiche di Kohl e del suo governo, che pure non ha attraversato momenti felici in quei giorni. Di pari passo, però, Kohl ha fatto le indispensabili riforme perché si potesse giungere a una reale crescita, senza che avesse ostacoli tali – dall’interno o dall’esterno del suo partito – da bloccare la riunificazione così tornare alla Berlino degli splendori di un tempo.
Man mano che il muro veniva picconato – io sarei giunto a qualche mese dalla caduta, per gioire con i giovani di allora della riunificazione delle due Germanie – le luci dei palazzi del potere erano accese giorno e notte. Segno evidente che politici e tecnici, che già non erano giunti impreparati al grande giorno del crollo del muro, continuavano a lavorare per gettare le basi della grande Berlino, senza pensare a ferie, riposi, se e ma, virgole, punti e virgole, lodi, emendamenti e senza porsi il problema delle tessere o dell’uomo solo al comando. Tanto, quando deve cadere, cadrà, indipendentemente dal nome che porta. E non è finita qui. Weidmann si è detto convinto che «le difficoltà del Sud e della Calabria, in primo luogo, dipendano proprio dalla mancanza d’investimenti che, a suo parere, non sono arrivati per tutta una serie di fattori. L’uomo della “cassa tedesca”, per esigenze giornalistiche – ha individuato – tra questi fattori, la lentezza della giustizia e la criminalità. Della e sulla lentezza della giustizia si è soffermato, col presidente Napolitano, il premier Renzi che ha voluto istituire commissioni ad hoc per la riforma dei codici. Su quello penale ha preteso una relazione scritta dal leader della commissione, il procuratore aggiunto della Dda di Reggio, che l’aveva convinto, fin dal primo momento, al punto che avrebbe voluto farlo ministro della Giustizia, dirottando sull’impegnato Orlando, il compito di provvedere.
L’altro punto che ci viene suggerito da fonte (autorevole) tedesca, la questione della criminalità. Argomenti, questi, che si intrecciano tra loro e che sono ben presenti nella compagine governativa. E soprattutto nel capo del governo che spinge perché tra le riforme annunciate queste possano camminare di pari passo con quelle che, anche per motivi politici, il governo vuole portare a casa. E non lasciare quanto promesso nel vezzo dell’annunciato. Insomma perché dovrebbe venire un investitore straniero in Calabria, se ci sono ancora – a sessanta e più anni dalla fine della seconda guerra mondiale – condizioni di arretratezza e burocratiche-ostative per qualsiasi investitore? Testuali parole di Weidmann: «Non si è fatto molto per rendere il Sud appetibile agli investimenti». È vero. Come dargli torto? Ed ecco la chiosa di fonte tedesca: «Tutto cambierebbe facendo una serie di riforme essenziali per cambiare radicalmente le cose». Senza fronzoli di sorta, un’ulteriore ricetta ha fatto capolino. Basterà? Il dubbio si insinua perché c’è sempre una scusa per il mors tua, vita mea. Chi se ne frega dell’arretratezza.

 

*Giornalista

 

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