REGGIO CALABRIA Se le difese avevano sperato che l’indagine per corruzione elettorale a carico del segretario questore del consiglio regionale Gianni Nucera, riuscisse a salvare l’ex consigliere comunale di Reggio Pino Plutino dalle pesanti accuse contestate a suo carico nel processo “Alta tensione”, si erano sbagliate di grosso. In sede di requisitoria, all’esito di una lunga e combattuta istruttoria dibattimentale, il pm Stefano Musolino ha modificato il capo di imputazione contestato a Plutino, chiedendone la condanna a 18 anni di reclusione e 15mila euro di multa come affiliato al clan Caridi, e non come semplice concorrente esterno.
PLUTINO UOMO DEI CLAN
«Plutino – dice il pm – è un politico criminale; era il referente della cosca Caridi-Borghetto-Zindato all’interno delle istituzioni. È cresciuto politicamente attraverso queste dinamiche. La ‘ndrangheta aveva bisogno di infiltrarsi nelle istituzioni e tramite Plutino questo è avvenuto». Per la pubblica accusa, Plutino – trasformatosi negli anni da semisconosciuto consigliere di periferia, transitato dall’Udc al Pdl, a campione delle preferenze, proiettato nell’olimpo dei primi cinque eletti in città – è l’uomo su cui il clan ha puntato per entrare nelle istituzioni. Un uomo di fiducia perché legato da stretti vincoli di parentela a elementi di spicco del clan – i fratelli Domenico e Filippo Condemi, per i quali sono stati invocati rispettivamente 25 anni di reclusione e 15mila euro di multa e 10 anni di reclusione – ma anche politicamente vicino a Gianni Nucera, ex mentore di Plutino, diventato suo grande accusatore, per poi convertirsi nel corso del dibattimento in un procedimento parallelo. Tanto in sede di indagine come in dibattimento, Nucera si era sempre presentato come una vittima delle pressioni della famiglia Condemi e in particolare di Domenico, definito in pubblica udienza «particolarmente violento ed esuberante», come del suo ex pupillo, accusandolo di aver fatto da mediatore fra lui e i suoi cugini, per l’assunzione di un membro della famiglia, individuato inizialmente in uno dei fratelli Condemi, Domenico – scartato perché inadatto al ruolo – quindi su Maria Cuzzola, nipote dei due, ma anche di Gino Borghetto, uomo di peso delle ‘ndrine che controllano i quartieri di San Giorgio Extra e Modena- Ciccarello. Per la stabilizzazione della ragazza, Nucera sarebbe stato a suo dire vittima di indicibili pressioni, tanto da arrivare a temere «ripercussioni per la mia famiglia, sia di ordine psicologico, sia per il fatto che Domenico potesse reagire in maniera non adeguata».
L’ISTRUTTORIA A CARICO DI NUCERA SVILUPPATA IN DIBATTIMENTO
Affermazioni smentite nel corso del dibattimento tanto da Plutino, come dai fratelli Condemi. «Nucera ha detto di essere intimorito da me, ma vorrei chiedergli se aveva la stessa paura quando andavamo a braccetto a chiedere i voti in tutta San Giorgio Extra», ha detto Domenico qualche settimana fa nel corso delle lunghe, stentate ma pesantissime dichiarazioni spontanee che ha chiesto e ottenuto di fare. Altrettanto pesante e preciso è stato il fratello Filippo che nel corso della stessa udienza ha dichiarato che «con Nucera abbiamo rapporti diretti dal 2000. Abbiamo fatto tutte le campagne elettorali per lui, a spese nostre», ma soprattutto che l’ex segretario è stato per lungo tempo una presenza fissa anche nella vita quotidiana della famiglia. Un rapporto confidenziale – è emerso in dibattimento – precedente e autonomo rispetto alla collaborazione politica con Plutino, che è stato confermato anche da diversi testimoni, inclusi alcuni ex collaboratori di Nucera, presi molto sul serio dal pm Musolino che in sede di requisitoria sottolinea che «qui sono stati svelati i legami che hanno permesso a Nucera di ottenere il successo elettorale» e pur non ridimensionando la portata minatoria di quella tanica di benzina lasciata sulla sua auto e denunciata dal segretario questore, non può fare a meno di tuonare «la collaborazione con la giustizia nasce dalla rottura di equilibri preesistenti, tanto che Nucera non denuncia subito, ma solo quando capisce che la situazione è fuori controllo, deciderà di sporgere denuncia solo quando sarà con le spalle al muro. Se lo avesse fatto fin dal principio non si sarebbe arrivato a questo episodio, epilogo di una feroce esclation criminale perpetrata dalla cosca in quei quartieri».
LE ACCUSE CONTRO NUCERA NON SALVANO PLUTINO E I CONDEMI
Una doccia fredda tanto per Plutino, difeso dagli avvocati Andrea Alvaro e Marco Gemelli, che hanno sempre contestato la ricostruzione della pubblica accusa, sostenendo che l’appoggio elettorale fornito dai fratelli Condemi fosse dovuto a ragioni familiari, piuttosto che alle strategie politiche delle potenti ‘ndrine della zona, come per Nucera, che adesso inizia davvero a temere un aggravamento del quadro accusatorio a suo carico. Sullo sfondo dell’inquietante vicenda rimane un quartiere – S. Giorgio Extra – completamente paralizzato dal clan, piegato ai suoi voleri, grazie al controllo asfissiante di affiliati, gregari o soggetti considerati semplicemente vicini, finiti alla sbarra nel procedimento. Soggetti per i quali il pm Musolino ha chiesto pene pesantissime. Quindici anni sono stati invocati per Vincenzo Rotta, tredici invece per Vincenzo Lombardo, Rosario Calderazzo, Leo Caridi, Natale Cuzzola, Natale Paolo Alampi, Diego Quartuccio e Giuseppe Pasquale Esposito. È invece di 8 anni la pena invocata per il boss Pasquale Libri, mentre di 4 quella richiesta per Diego Rosmini. Il pm ha infine chiesto l’assoluzione per il reato di associazione mafiosa contestato a Antonio Casili, comunque da punire con 3 anni e sei mesi per le altre contestazioni a suo carico, mentre è di quattro anni e sei mesi la richiesta di pena avanzata per Bruno Doldo, l’ex poliziotto accusato di aver fornito a Plutino, dunque al clan, preziose informazioni sull’inchiesta che all’epoca li vedeva indagati.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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