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Una devastante "invisibilità"

«No, aspetti… ‘ndrangheta? Io non ho mai parlato di ‘ndrangheta. Non l’ho fatto perché per dire una cosa del genere bisogna avere le prove. E io, finché non ho le prove, non parlo». Renzi, dicono…

Pubblicato il: 02/11/2014 – 11:09
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Una devastante "invisibilità"

«No, aspetti… ‘ndrangheta? Io non ho mai parlato di ‘ndrangheta. Non l’ho fatto perché per dire una cosa del genere bisogna avere le prove. E io, finché non ho le prove, non parlo». Renzi, dicono, non l’ha presa per niente bene. Quell’intervista che la ministra Lanzetta ha rilasciato a Fabrizio Roncone è un disastro mediatico ancor prima che politico. Con il Corriere della Sera, poi, non è un bel momento, in via Solferino non gliene perdonano una che sia una. E infatti l’avere impaginato su sei colonne le “sciocchezze” dette dalla Lanzetta, proprio sotto l’apertura della pagina di politica che ospita l’ultimo sondaggio certificante un ulteriore calo della fiducia nei confronti di Matteo Renzi (scesa al 54%), viene letta dal premier come un ennesimo sberleffo. In effetti “quell’intervista” della Lanzetta gronda di pressappochismo e dilettantismo, a voler essere buoni. Dalla battuta sui cronisti politici che preferiscono intervistare la Boschi, alla sconcertante affermazione che in Consiglio tutti i ministri godono di libertà di parola, purché alzino la mano e aspettino il loro turno. Al punto che non si sa leggerle come prova di disarmante insipienza oppure come sottile e indigeribile ironia. E meno ancora si sa quale delle due chiavi di lettura sia la peggiore. Ma è la risposta sulla ‘ndrangheta quella che più sta terremotando il dibattito politico interno al Pd nazionale e calabrese.

L’essere finita nel mirino della ‘ndrangheta, vero o falso che sia, Maria Carmela Lanzetta lo ha trasformato in un trampolino di lancio. Con Goffredo Buccini, altra firma prestigiosa del Corriere, ha fatto anche un libro dal titolo che non ammette equivoci: “L’Italia di quaggiù, Maria Carmela Lanzetta, e alle altre donne che combattono la ‘ndrangheta”. Da sindaco di Monasterace, Maria Carmela Lanzetta si dimise asserendo che lo faceva perché un assessore aveva votato contro la costituzione di parte civile in un procedimento penale a carico di un dipendente comunale accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Già in precedenza si era dimessa, salvo poi tornare sui suoi passi, “travolta” dalle attestazioni di solidarietà.

Nell’aprile 2012 aveva deciso di lasciare l’incarico di sindaco dopo le pesanti intimidazioni subite e lei stessa disse che «a causa del suo impegno contro le cosche e in favore della legalità: prima mi era stata incendiata la farmacia di famiglia e poi furono sparati alcuni colpi di pistola contro la mia auto». Atti che provocarono una profonda eco a livello nazionale, tanto che per convincerla – riuscendoci peraltro – a rimanere al suo posto, arrivò a Monasterace l’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Molti ritenevano che l’impegno antimafia di Maria Carmela Lanzetta l’avrebbe portata a ottenere una candidatura alle elezioni politiche, che invece non arrivò. Maria Carmela Lanzetta fu inserita da Pippo Civati nel Pantheon della sua sinistra in occasione del confronto con gli altri candidati alla segreteria del Pd nelle primarie dello scorso anno. All’epoca era schieratissima contro Renzi e in questa chiave entrò, quale rappresentante della sinistra radicale, nella direzione nazionale del Pd. Il resto lo fece Delrio e l’opposizione del Quirinale alla nomina di Nicola Gratteri a ministro della Giustizia. Nel giro di un’ora occorreva trovare un ministro che riequilibrasse territorialmente un dicastero troppo sbilanciato. Donna, calabrese, amica di Delrio che lasciava proprio quel ministero delle Regioni, civatiana per giunta. Insomma la Lanzetta appariva la soluzione migliore. Meno di un anno più tardi in tanti si ritrovano a non pensarla più così.

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