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La riforma silenziosa

Tutti abbiamo letto la nostra Costituzione, almeno una volta. Molti di noi le hanno giurato fedeltà al momento di assumere un ufficio o una funzione pubblica. È il documento entrato in vigore nel 194…

Pubblicato il: 08/11/2014 – 18:36
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Tutti abbiamo letto la nostra Costituzione, almeno una volta. Molti di noi le hanno giurato fedeltà al momento di assumere un ufficio o una funzione pubblica. È il documento entrato in vigore nel 1948, ancora vigente, con modifiche nel complesso marginali, che ne hanno lasciato integro l’impianto complessivo. Pochi sanno, però, che accanto a questa c’è un’altra Costituzione, non scritta, detta “Costituzione materiale” o Costituzione vivente. Non è facile darne una definizione proprio perché non vi è alcun testo sul quale ragionare. Essa è fatta di prassi, di regole, di mutamenti determinati dai cambiamenti dell’economia, del contesto politico e giudiziario della Ue. A volte, le norme di questa Costituzione “ombra” servono a integrare quella scritta nei punti non esattamente definiti nel testo ufficiale. Tipico è il caso delle consultazioni che il presidente della Repubblica fa ogni qual volta è chiamato a conferire l’incarico di formare il governo. Da nessuna parte è scritto che egli debba procedere a tali consultazioni, né chi debba consultare e in quale ordine, eppure, sin dagli albori della Repubblica, si è formata la prassi della consultazione di ex presidenti della Repubblica, dei presidenti in carica di Camera e Senato, quindi dei segretari dei partiti politici rappresentati in Parlamento. La prassi si ripete ancora oggi e, in qualche modo, è stata costituzionalizzata. È divenuta regola. Altre volte la Costituzione materiale sollecita e anticipa modifiche della Carta scritta in alcune parti che più hanno risentito del decorso del tempo e necessitano di ritocchi e aggiornamenti. Un esempio è costituito dall’introduzione, all’articolo 111 delle norme sul giusto processo – inserite nel 1999 – che risponde alle esigenze di dare rilievo costituzionale ai principi del contraddittorio e della ragionevole durata del processo, o dell’articolo 117 che redistribuisce poteri e competenze tra Stato e Regioni.
Sin qui siamo nella fisiologia. In altri casi, che vedremo di seguito, invece, la Costituzione materiale si pone come alternativa a quella ufficiale, nel senso che introduce surrettiziamente, modifiche anche sostanziali nel modo di funzionamento degli organi costituzionali, tanto da alterarne i delicati equilibri che la costituzione aveva provveduto ad assicurare. Questo è quello che è avvenuto nell’ultimo ventennio, nel corso del quale nuove forze politiche, nuove esigenze, nuove contingenze economiche hanno determinato l’evoluzione (meglio sarebbe dire l’involuzione) del nostro sistema politico, forzando, eludendo, a volte violando apertamente, attribuzioni e funzioni costituzionali, con frequenza, continuità e (quel che è peggio) ampio consenso nell’opinione pubblica, tanto da comportare veri e propri stravolgimenti del nostro sistema costituzionale, senza che la costituzione sia stata, formalmente, modificata. Vediamo, sia pure in sintesi, alcune delle norme costituzionali interessate alle pressioni della costituzione materiale. Esse sono l’articolo 49, quindi l’articolo 67, e poi gli articoli 70, 76 e 77. I partiti politici non sono più libere associazioni di cittadini che si costituiscono per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Essi sono, al contrario, sempre più organizzati intorno a una persona, che ne diviene, il dominus incontrastato, per mezzi finanziari ovvero per concentrazione di potere nelle sue mani (come essere segretario di partito e, contemporaneamente, presidente del consiglio dei ministri). Il metodo democratico interno è spesso assente e così i partiti, o quello che ne rimane, si riducono a comitati elettorali, funzionali all’indicazione di una persona più che di una linea politica, e ciò sia che si tratti di consultazioni elettorali, sia che si tratti delle cosiddette “primarie” di partito. L’articolo 67 ammonisce che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione senza vincolo di mandato». In realtà, il vincolo di mandato è sempre più cogente e toglie al singolo parlamentare ogni autonomia di giudizio nel momento in cui si trova a votare norme contrarie alle sue convinzioni. Ciò è tanto più vero in un Parlamento in cui la legge elettorale aveva affidato la scelta dei parlamentari non già ai cittadini, ma alle segreterie dei partiti, e spesso al singolo capo del partito. Vero è che quella legge è stata dichiarata incostituzionale, indebolendo fortemente la legittimità delle due Camere, ma quella che dovrebbe sostituirla conferma i punti censurati dalla Corte.
Strettamente connesso è quello dei tre articoli che attengono alla funzione legislativa. L’articolo 70 che affida collettivamente alle Camere l’esercizio della funzione legislativa è di fatto superato dall’abdicazione del Parlamento alla propria funzione primaria in favore del governo, non solo quanto a iniziativa legislativa, ridotta ormai a percentuali bassissime, ma soprattutto quanto a dibattito parlamentare, compresso dal ricorso sempre più frequente al voto di fiducia, che da strumento eccezionale di verifica della permanenza della maggioranza parlamentare è divenuto strumento ordinario di approvazione delle leggi ordinarie. Spesso, il pretesto del ricorso al voto di fiducia è quello della necessità di velocizzare e decisioni, ma questa giusta esigenza potrebbe essere risolta aumentando i giorni di attività delle due assemblee parlamentari, che oggi non superano tre giorni alla settimana e non certo attraverso la riduzione degli spazi del dibattito e del confronto delle posizioni politiche contrapposte. Ma è sugli articoli 76 e 77 che si è maggiormente abbattuta la modifica di fatto della disciplina costituzionale. Sono i due soli casi nei quali il Parlamento cede in qualche misura l’esercizio del potere legislativo al governo. L’articoli 76 pone il divieto, in linea di principio, della delega al governo di esercitare funzione legislative, ma subito dopo prevede una deroga ma a precise condizioni: che il Parlamento determini in ogni caso principi e criteri direttivi, atti a vincolare il governo; che la delega sia limitata nel tempo e si riferisca a un oggetto definito. Se però il governo presenta un proprio disegno di legge delega e pone su questa la questione di fiducia, si tratterà, a bene vedere di una delega che il governo concede a sé stesso, senza alcuna effettiva possibilità di controllo parlamentare, dal momento che i decreti legislativi emessi dal governo sulla base della delega ricevuta, non devono essere approvati dalle Camere. La questione assume rilevanza ove si consideri che la riforma del lavoro avverrà sulla base di una legge delega, sulla quale, in Senato, il governo ha già posto la fiducia e tutto lascia prevedere che lo stesso avverrà alla Camera. Tra le norme sulle quali il governo eserciterà funzione legislativa delegata vi sarà anche l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nonostante che nella legge delega non si faccia affatto esplicita menzione della riforma di tale norma! Ciò vuol dire che mancano le indicazioni specifiche alle quali il governo dovrà attenersi nella delicatissima materia dei licenziamenti individuali senza giusta causa. Quanto all’articolo 77, il governo, secondo una prassi consolidata, emette decreti aventi valore di legge fuori dei casi, straordinari, di necessità e di urgenza, previsti in Costituzione. Si tratta di un vero e proprio straripamento di potere che la Corte costituzionale ha più volte sanzionato, richiamando il governo al corretto esercizio della decretazione di urgenza, ma senza successo, visto il numero crescente di decreti legge, persino con esecuzione differita di oltre un anno, e dunque in palese violazione della Costituzione. Il ricorso al voto di fiducia in sede di conversione del decreto in legge è ancora una volta un abuso, in quanto il governo finisce in tal modo con il convertire in legge esso stesso un proprio decreto, senza possibilità di dibattito, di controllo, di correzione o integrazione.
L’eccesso di delega, come il decreto legge emesso fuori dei casi consentiti, sono due violazioni che possono determinare, sentenze di annullam ento da parte della Corte costituzionale. È accaduto numerose volte in passato ed è probabile che avverrà ancora per il futuro. Ma non sono queste le conseguenze più gravi di tali abusi. Di fatto l’accorpamento della funzione legislativa in capo al governo realizza una riforma della Costituzione in senso presidenziale. Una riforma di cui si parla da tempo, che divide le forze politiche (almeno per il passato), ma che, forse proprio per questo, non viene riproposta nell’attuale contingenza politica. Non è possibile però che il passaggio al regime presidenziale passi per facta concludentia, silenziosamente, senza modifiche della Costituzione, senza dibattito e senza voto. Anche perché, il regime presidenziale comporta, necessariamente, sistemi di bilanciamento e di controllo, senza i quali si corre il rischio di inammissibili derive autoritarie. Sino a questo momento il bilanciamento è stato assicurato dal presidente della Repubblica, il cui mandato è stato rinnovato. Se il suo successore saprà fare altrettanto non è possibile prevedere e anche questa incognita è motivo di preoccupazione.

 

*magistrato

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