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Gli affari di Matacena in riva allo Stretto

REGGIO CALABRIA Dal Tapis roulant al palazzo dello Sport, dal lungomare alla ristrutturazione di piazza Orange, dai centoventi alloggi popolari del quartiere di San Brunello alla pista dell’aeroporto…

Pubblicato il: 14/11/2014 – 15:33
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Gli affari di Matacena in riva allo Stretto

REGGIO CALABRIA Dal Tapis roulant al palazzo dello Sport, dal lungomare alla ristrutturazione di piazza Orange, dai centoventi alloggi popolari del quartiere di San Brunello alla pista dell’aeroporto: dietro le opere – che per anni sono stati il simbolo del modello Reggio – c’erano i coniugi Matacena. È quanto emerge dalla nuova informativa depositata dal pm Giuseppe Lombardo agli atti del procedimento che oggi li vede imputati insieme all’ex ministro Claudio Scajola, al braccio destro di Matacena, Martino Politi e alle segretarie dei due politici – Roberta Sacco e Mariagrazia Fiordelisi – perché a vario titolo accusati di aver aiutato proprio Matacena ad eludere una condanna definitiva per mafia e a occultare il suo immenso patrimonio. Almeno per adesso. Perché – come ammesso a mezza bocca dai legali degli imputati – alla luce dei nuovi atti depositati è più che probabile una modifica del capo di imputazione che includa o forse vada anche oltre l’aggravante mafiosa. A iniziare dall’oscuro ruolo della “A&A”, società che attraverso un’intricata schermatura finanziaria, dal 29 dicembre 2000 – quando la Amadeus spa le girava tutte le quote di partecipazione detenute – controlla la Cogem, grande mattatrice di appalti a Reggio Calabria.

 

COGEM PIGLIA TUTTO Almeno negli ultimi quattordici anni, la società – di cui i Matacena detengono il 51% – avrebbe infatti ramazzato la maggior parte e i più importanti lavori pubblici commissionati dall’amministrazione comunale reggina e non solo. Fra i committenti della società controllata dal politico armatore ci sono anche il ministero dell’Interno, che gli ha assegnato la costruzione della palestra dei Vigili del fuoco di Reggio Calabria, la Prefettura che ha dato mandato all’impresa per costruire il cimitero di Cardeto, e persino il provveditorato, che ha ordinato la costruzione della nuova Questura di Reggio Calabria. Opere imponenti, che non esauriscono però il giro d’affari della Cogem, che risulta socia al 23% anche della società “Edilizia ospedaliera Morelli” – azienda che si è occupata della costruzione del secondo polo ospedaliero reggino – e del 34% della “Giudecca srl”, costituita il 23 febbraio 2006 dalla Cogem insieme alla “S.Aversa sas” di Carmine Aversa & c. che sottoscriveva una quota pari al 33% del capitale sociale e dall’impresa “Giunta srl”, in liquidazione, che ne sottoscriveva il residuo 33%. Una società costituita – si rileva dall’atto costitutivo – per la realizzazione del tapis roulant, i cui lavori verranno in seguito appaltati dal Comune di Reggio Calabria, per la cifra di 9.037.168 euro. Il primo di una lunga serie di contratti stipulati dalla Cogem con il Comune di Reggio Calabria fino al 10 settembre 2012, poco prima dello scioglimento per mafia voluto dal Viminale.

 

OBIETTIVO CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA Un giro d’affari milionario ottenuto grazie ad una complessa schermatura finanziaria, che per anni avrebbe permesso ai coniugi Matacena non solo di arricchirsi, ma soprattutto – sottolineano i segugi della Dia nell’informativa – «di ottenere la prevista certificazione antimafia, eludendo le disposizioni previste dall’art.10 del Dpr252/98». Un obiettivo impossibile da raggiungere per la formale proprietaria della quota maggioritaria di Cogem, quella A&A immobiliare srl, oggi riconducibile per una quota pari al 90% al latitante Matacena, ma – dicono i magistrati – «fittiziamente intestata» a Chiara Rizzo, la cui presenza nell’assetto societario è a sua volta opportunamente schermata mediante due società estere, la lussemburghese Seahorse, prima e la portoghese Morning Breeze dopo, nonché attraverso la società fiduciaria italiana Sirefid spa. Paraventi necessari ad occultare quelle circostanze già finite al centro del primo processo che ha portato alla condanna per mafia dell’ex parlamentare di Forza Italia, relative ai lavori di rifacimento della via Marina.

 

PRECEDENTI IMPORTANTI ALL’OMBRA DEI ROSMINI Della questione aveva ampiamente riferito il pentito Umberto Munaò, indicando proprio Matacena – come in seguito avrebbero provato le carte dei procedimenti civili che avevano interessato la Ulisse Shipping e la A & A, nonostante formalmente non risultasse coinvolto – come uno dei tre imprenditori interessati ai lavori. «Di quel lavoro – dice Munaò – ci siamo interessati noi direttamente, in particolare tramite il Rosmini me ne sono interessato io, e tramite me un’altra persona, era un certo Osvaldo Massara… questa persona prendeva contatto presso le ditte che se non erro dovevano essere… intorno a tre ditte, se non erro, a quell’epoca che si interessavano del lavoro, tra cui c’era Matacena». Un dato che il collaboratore riferirebbe con certezza, perché la presenza del politico armatore che il clan Rosmini nel ’94 averebbe contribuito a fare eleggere alla Camera, non si sarebbe rivelato un buon affare. «Matacena non intendeva pagare la quota – dice il pentito Munao –, cioè il cinque per cento che avevamo chiesto, perché dice: “Io sono amico vostro, e soldi non ve ne do”. Ricordo che c’è stata una discussione in merito, perché da parte di Rosmini c’era l’interesse a non insistere, per il pagamento di Matacena, in quanto una volta incontratomi con Totò Rosmini, che era anche latitante, dice: “Non possiamo insistere, perché a noi ci ha sempre favorito, a noi ci favorisce, ci aiuta se abbiamo bisogno, non possiamo forzarlo a darci i soldi”, dice: “Cerchiamo di farli uscire in un modo diverso”, anche perché comunque alla parte avversa dovevamo dare conto di quella che era nel totale, la percentuale. Quindi o la tiravamo fuori noi dalle nostre tasche, o la facevamo uscire dai vari lavori che erano cemento, ferro, e roba varia, no?».

 

CREDITO PER I FAVORI RICEVUTI Un problema per il clan, che in base ai nuovi assetti scaturiti dalla seconda guerra di ‘ndrangheta, sarebbe stato chiamato a dividere i proventi di quei lavori. «Sia la parte dei Tegano, che anche Condello – riferisce Munao agli inquirenti – c’aveva mandato a dire che non gli interessa, che se Matacena non vuole pagare rispondiamo noi, “Se Matacena … rispondete voi, a noi i soldi ce li dovete dare, quello che ci tocca ci date, se al limite perdete perdete voi”». Circostanze anomale, messe in risalto dalla Cassazione che renderà definitiva la condanna inflitta all’ex parlamentare di Forza Italia per concorso esterno in associazione mafiosa, nel passaggio in cui sottolinea che «la vicenda Via Marina delinea uno scenario assolutamente anomalo rispetto all’andamento consueto delle estorsioni». Un’anomalia che per i giudici radica in «quel potere (evento assolutamente inconsueto fra estorto ed estortore) che il Matacena dimostra di avere, tanto da poter paralizzare la richiesta di pagamento, con una sorta (mutuando il termine dalla contrattualistica) di “eccezione di compensazione”: avendo egli già favorito l’associazione, aveva già tributato ad essa quanto dovuto e poteva pretendere di essere esonerato dal pagamento della tangente». Circostanze che per la Corte avrebbero provato «l’apporto fattivo che il Matacena aveva già profuso in favore della cosca Rosmini: nessun altro imprenditore avrebbe potuto vantare una posizione di forza, interloquendo con una cosca mafiosa, imponendo ad essa il proprio volere» e inducevano i giudici a dedurre che «se il Matacena vantava un credito nei confronti della cosca Rosmini, ciò significa che egli si era già prodigato in favore della cosca: appare inevitabile dover concludere che lo stesso imputato, con il suo rifiuto, ha offerto la prova di aver favorito ed aiutato la cosca Rosmini».

 

RIZZO RESPONSABILE ANCHE DEI LEGAMI CON I CLAN? Assetti che per i magistrati potrebbero aver resistito alla latitanza di Matacena e alla sua sostituzione alla testa delle societàe che sarebbero transitate tutte in mano a Chiara Rizzo «nonostante non fosse form almente presente nelle compagini societarie, né in qualità di titolare di quote societarie, né quale amministratore nelle predette società italiane» e gestite tramite la Seafuture, società anonima estera da lei interamente partecipata. Ma per il pm Lombardo, se sarebbe ormai chiaro che Lady Matacena si sarebbe sostituita al marito nella conduzione degli affari «di cui aveva la piena e consapevole gestione», diventandone la longa manus e prestanome, adesso è un altro l’interrogativo che si pone. Ai magistrati infatti non sarebbe sfuggito che la A&A, attraverso la controllata Cogem, avrebbe continuato ad aggiudicarsi, direttamente o tramite ATI, importanti commesse pubbliche nel Comune di Reggio Calabria. Un settore di particolare rilevanza per le cosche, che per i magistrati impone una riflessione sul ruolo della Rizzo, unica incaricata – quantomeno dall’anno 2008 in poi – di assicurare la continuità gestionale degli interessi del coniuge anche nel delicato settore degli appalti pubblici. Stando a quanto si legge nell’informativa transitata agli atti del fascicolo, «la prosecuzione delle attività economiche fino al 2012 da parte della Rizzo attraverso la Cogem sempre con modalità di schermatura societaria», imporrebbe un approfondimento «della gestione dei rapporti che il marito intratteneva con la cosca Rosmini e quindi con il territorio nel quale le proprie società partecipavano agli appalti pubblici e ne gestivano i profitti». Per il pm, «non si può escludere naturalmente che anche la Rizzo, come il marito, possa aver proseguito consapevolmente la gestione dei rapporti con la cosca Rosmini nel corso dell’esecuzione degli appalti pubblici, che la Cogem si è aggiudicata sin dal periodo in cui la Rizzo inizia a gestire direttamente la società in argomento».

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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