LAMEZIA TERME Poco da esultare, per tutti. Passata l’ubriacatura delle prime ore – fisiologica per le percentuali bulgare incassate – e messi da parte gli entusiasmi da tifoseria calcistica, ci sarà parecchio da lavorare per Mario Oliverio, eletto governatore dalla minoranza dei calabresi aventi diritto al voto. Il partito di maggioranza assoluta, infatti, è quello dell’astensione: è andato a votare solo il 44,08% degli aventi diritto, mai così pochi nella storia del regionalismo calabrese.
Il dato, associato a quello (peggiore) della rossa Emilia Romagna, avrà fatto certamente venire qualche dubbio anche a Matteo Renzi che, dopo l’esultanza iniziale, ha indirizzato i suoi tweet verso altri argomenti, quasi come stesse guardando i risultati elettorali distrattamente, fischiettando e con la testa per aria, senza accorgersi di quei numeri che, invece, fanno molta paura ai partiti. A tutti i partiti, perché se nel centrosinistra si dovrà fare i conti con la disaffezione di larghe fasce di elettorato storico, la questione rischia di rivelarsi ancora più dolorosa per il centrodestra orfano del padre-padrone Scopelliti. Dopo 4 anni di “modello Calabria”, infatti, il risultato elettorale assume i contorni di una disfatta puramente politica che, associata al dato delle Europee, sembra ormai prescindere anche dai guai giudiziari dell’ex governatore. Ma la bassissima affluenza potrebbe aver penalizzato anche la sinistra alternativa che sosteneva Domenico Gattuso: nonostante lo spessore del candidato a presidente, quella dell’Altra Calabria si presentava già dalla vigilia come l’ennesima avventura velleitaria destinata a nascere e morire nell’arco della campagna elettorale. Continua a mancare, nella sinistra calabrese, un progetto politico che prescinda dalle incombenze elettorali e che abbia come fondamento politico la rete delle esperienze di movimenti e collettivi attivi sui territori che, probabilmente, anche stavolta hanno scelto in larga parte l’astensione.
Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it
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