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'NDRANGHETA A MILANO | Le origini dell'inchiesta

REGGIO CALABRIA Cinque aprile 2012, è quasi mezzanotte a Sedriano. Cinque colpi di arma da fuoco spezzano la quiete del paesone dell’hinterland di Milano nord, da anni ormai divenuto tutt’uno con i q…

Pubblicato il: 16/12/2014 – 15:44
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REGGIO CALABRIA Cinque aprile 2012, è quasi mezzanotte a Sedriano. Cinque colpi di arma da fuoco spezzano la quiete del paesone dell’hinterland di Milano nord, da anni ormai divenuto tutt’uno con i quartieri periferici della città. La mattina dopo, Massimiliano Cecchin trova la sua Bmw X5 crivellata di colpi. Parte da qui l’indagine che oggi ha fatto scattare le manette per i cinquantanove fra capi e gregari della costola milanese della cosca Libri. Molti di loro – Alessandro Nucara, i fratelli Giulio e Vincenzo Martino, considerati elementi di vertice dell’organizzazione – non sono sconosciuti per le forze di polizia, già in passato sono stati arrestati per reati di mafia e di droga e appena usciti dal carcere hanno rimesso in piedi vecchi affari, vecchi giri e vecchi business. Anche per Cecchin, titolare di un’attività di commercio di vetture importate dalla Germania, non sono facce nuove.
Con Giulio Martino, alla fine degli anni Novanta l’imprenditore ha diviso un lungo soggiorno a San Vittore. Ma quando in una fredda mattina di aprile trova la sua lussuosa auto crivellata di colpi agli investigatori non lo dice. Tanto meno parla di quel socio ingombrante che nella primavera del 2011 aveva investito nel suo autosalone trentacinquemila euro consegnati in contanti, né delle pressioni da lui ricevute dopo il sequestro dell’attività disposto dall’autorità giudiziaria. Dovrà passare quasi un anno perché Cecchin decida di vuotare il sacco.

 

GOLA PROFONDA PER PAURA
È il sei febbraio del 2013. Insieme alla moglie, ha appena accompagnato la figlia a scuola. Lui aspetta in macchina, mentre la donna accompagna la piccola al cancello. Ma quella mattina ad aspettarlo c’è Giulio Martino, che con una pistola puntata gli intima di scendere dalla macchina, lo insulta, lo prende a schiaffi, lo minaccia di morte. Vuole i suoi soldi con gli interessi o in alternativa un canale conveniente per l’acquisto di coca. Cecchin non è in grado di fare né l’una né l’altra cosa, ma comprende che i suoi affetti più cari sono sotto minaccia, quindi decide di sporgere denuncia e iniziare a collaborare con gli investigatori. Ma la sua non sarà l’unica voce che all’orecchio degli inquirenti arriva dalla pancia del clan Libri. A riscontrare gli elementi emersi in oltre due anni di indagini sul clan che da piazza Prealpi e dalla zona Certosa è tornato a muovere alla conquista di Milano, c’è anche la voce di Edmondo Marco Colangelo.

 

ANCHE IL “DELFINO” PARLA
Nonostante sia appena quarantenne, Colangelo ha almeno vent’anni di esperienza nel settore dello spaccio che ha sempre gestito soprattutto per i calabresi. Non è mai stato affiliato, anzi agli inviti dei fratelli Martino ha sempre risposto di no, ma da oltre vent’anni il neocollaboratore ha fatto girare nel Nord Milano tutti i tipi di sostanze stupefacenti per conto di Domenico Branca, uomo del clan Libri in zona Certosa. Una rete di spaccio che ha continuato a funzionare anche quando i gregari del boss – il suo luogotenente Alessandro Nucara e i fratelli Martino – sono usciti dal carcere e hanno «riaperto l’attività». «Proprio in ragione dei rapporti che da almeno vent’anni lo legano all’organizzazione mafìosa di Domenico Branca – sottolinea il gip milanese – Colangelo ha modo di apprendere per così dire “dall’interno” una quantità enorme di informazioni su fàtti e persone di cui ampiamente riferisce, con precisione e ricchezza dì dettagli, nel corso dei suoi numerosi interrogatori». È stato lui a rivelare come non appena usciti di prigione i Martino e Nucara, insieme abbiano ricominciato a ricostruire affari e prestigio del clan in passato piegato dagli arresti.

 

L’ORGANIZZAZIONE
Un clan che si è riorganizzato sotto il comando di Nucara, in qualità di braccio destro di Branca e massimo vertice gerarchico, ma ha in Giulio Martino il reale vertice imprenditoriale. È lui che insieme al fratello Vincenzo, a organizzare «con somma efficienza e partecipazione» il traffico di stupefacenti, a tenere le fila dei tantissimi prestiti di denaro, a decide a chi prestare il denaro, a riscuotere manu milìtari ma sempre con violenza e minaccia, gli interessi, ad organizzare attentati incendiari, a provvedere al reperimento, organizzare il trasporto e predisporre i luoghi di “imbosco” delle armi nella disponibilità del sodalizio, a “proteggere” imprenditori in difficoltà intervenendo per la risoluzione di controversie con altri soggetti, ad appropriarsi di imprese commerciali tramite le quali ottenere appalti e commesse pubbliche, come ad intestare fittiziamente a prestanome compiacenti società e attività finanziate con i proventi delle attività illecite. Soldi che servono anche per provvedere alle necessità di boss e affiliati ancora dietro le sbarre – come il patriarca Domenico Branca e Carmelo Zavettieri – e delle loro famiglie. Ma soprattutto soldi che – per la prima volta da vent’anni a questa parte – arrivano a un clan insediato nel cuore della città di Milano e che lì è attivo. Un clan che la Procura di Milano aveva inchiodato e condannato quasi vent’anni fa, ma terminato il periodo di detenzione dei suoi vertici, è tornato più forte e più aggressivo di prima.

 

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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