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L'interesse di Scajola per il porto di Imperia

Non sono stati solo i cutresi del clan Grande Aracri a trasformare in un sontuoso buffet di appalti e forniture la costruzione del Porto di Imperia. Sulla megaopera immaginata da Claudio Scajola si…

Pubblicato il: 10/02/2015 – 20:33
L'interesse di Scajola per il porto di Imperia

Non sono stati solo i cutresi del clan Grande Aracri a trasformare in un sontuoso buffet di appalti e forniture la costruzione del Porto di Imperia. Sulla megaopera immaginata da Claudio Scajola sindaco, e realizzata su impulso dello stesso politico quando già era transitato negli uffici del ministero, hanno banchettato diversi clan di ‘ndrangheta. Il particolare non emerge – allo stato – da un’inchiesta organica sull’opera, ma va rintracciato nelle pieghe di altre indagini. A svelarlo sono infatti documenti e intercettazioni agli atti del procedimento “La svolta”, che ha inchiodato i clan dell’Imperiese, come di quello comunemente denominato “Breakfast”, uno dei cui filoni vede oggi alla sbarra Scajola.
Tra le contestazioni che vengono mosse al politico non c’è alcunché che riguardi direttamente il porto, ma nel passare al setaccio le conversazioni di Scajola – prima indagato e oggi a giudizio per aver messo la sua rete di contatti e relazioni al servizio della latitanza dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa – più di uno spunto investigativo è venuto fuori.

 

IL PORTO
Agli atti dell’inchiesta coordinata dal pm Giuseppe Lombardo della Dda di Reggio ci sono infatti una serie di conversazioni e riscontri incrociati che non solo chiamano in causa direttamente l’ex ministro come «dominus della costruzione» dell’opera, ma dimostrano anche che più di una ditta in odor di mafia avrebbe partecipato alla sua costruzione. Un dettaglio in parte già emerso nell’indagine “Pioneer” della Procura di Torino – in larga parte richiamata nell’informativa redatta dalla Dia reggina alla base di “Breakfast” – che nel 2008 si era concentrata sui rapporti fra Scajola e imprenditori ambigui, invitati direttamente o indirettamente a partecipare al gran banchetto del porto di Imperia.
Si tratta di Ilario D’Agostino – arrestato e condannato perché accusato da diversi pentiti di essere il contabile del clan torinese guidato da Antonio Spagnolo, per il quale gestiva in Piemonte imprese edili al fine di riciclare i proventi del narcotraffico – e Brunino Pace, «storica conoscenza di D’Agostino» – lo definisce la Dia – che con lui spesso ha lavorato in cordata.
Condannato per bancarotta nel 2007, Pace – spiegano gli investigatori – ha continuato a operare tramite imprese formalmente intestate alla moglie o a soggetti legati da stretti rapporti di parentela, come il cognato Giuseppe Tassone. Imprese tramite cui Pace, sempre in tandem con D’Agostino, entrerà nell’affare Porto di Imperia.

 

CALTAGIRONE
Un’occasione acchiappata al volo – suggeriscono gli investigatori – grazie alla conoscenza personale con Francesco Bellavista Caltagirone e Beatrice Parodi, tramite proprie imprese soci di maggioranza della società committente, Porto di Imperia spa, controllata per il rimanente 33,33% dal Comune di Imperia. Ma anche in questo caso – sottolinea la Dia – Pace «pur dimostrando di possedere capacità imprenditoriali e professionali nettamente superiori a quelle di D’Agostino, ha sovente rimesso a quest’ultimo la decisione finale in tema di acquisizione di ulteriori nuovi lavori, manifestando quindi un deciso rapporto di sudditanza nei confronti del medesimo».
Una subordinazione che permetterà alle imprese direttamente o indirettamente riconducibili a Pace – che non verrà rinviato a giudizio – di subappaltare lavori e cantieri alle ditte di D’Agostino, di lì a qualche anno anche destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare nell’inchiesta “Minotauro”.

 

PAGAMENTI A CASCATA
Un business di cui i due non si preoccupano di parlare al telefono se è vero che, stando alla sintesi della Dia di una conversazione intercettata fra i due, Pace comunica a D’Agostino «di aver emesso la fattura a Caltagirone e che pagheranno, così lui fa l’assegno suo (ad Ilario) così pagherà l’altro (Ninuzzo Panaia, socio dei due in una serie di imprese, ndr)». Ma in quella medesima chiacchierata a Pace scapperà un riferimento che oggi potrebbe assumere nuovo valore: «Gli dice – scrive la Dia nel sintetizzare la conversazione con D’Agostino – che devono guardare per martedì l ‘elenco del cassoni prodotti ad agosto fatti dalla Save», la ditta che le indagini sveleranno general contractor dell’opera e nella diretta disponibilità dei Grande Aracri di Cutro, quindi accenna a una «cosa che non può dire al telefono». Particolari che all’epoca gli investigatori di Torino non hanno approfondito, ma che oggi potrebbero rendere interessanti le intercettazioni che darebbero prova di un’interlocuzione diretta fra Pace e l’allora Scajola.

 

«SCAJOLA MI VUOLE PARLARE»
Dal maggio 2008, gli uomini della Dia iniziano infatti a registrare una serie di chiacchierate, durante le quali l’imprenditore si vanta di essere stato contattato dalla segretaria del ministro Scajola. Un nome che suscita l’attenzione di chi ascolta, le cui curiosità saranno soddisfatte solo nel giro di un paio di giorni. Nel corso di una conversazione con il socio Maurizio Panaia, Pace lo informerà infatti che «io oggi è difficile che vengo perché mi ha chiamato il ministro Scajola che vuole parlarmi, che ho un appuntamento alle 3 e mezza, non lo so, mi parla del Porto di Imperia e di altre cose». Per gli investigatori si tratta di una traccia importante, non solo perché conferma i rapporti fra l’ex ministro e un imprenditore dietro cui si muovono ditte che in seguito saranno confiscate per mafia, ma anche perché dimostrerebbe il pervicace interessamento del politico per un’opera su cui – quanto meno in teoria – non avrebbe dovuto avere alcuna facoltà di opinare e operare.

 

CONSIGLI
Ma le ditte di D’Agostino, oggi finite tutte sotto sequestro, non sono le uniche società in odor di mafia ad aver lavorato alla costruzione del porto di Imperia. All’appello risulta anche la Scavo-ter – nota impresa di costruzioni oggi colpita da interdittiva antimafia, ma in passato grande mattatrice di appalti pubblici in LIguria – riferibile alla famiglia Fotia, da tempo al centro di diversi filoni di indagine per corruzione, truffa, smaltimento illecito di rifiuti e altri reati. Stando a quanto emerso nel procedimento “La Svolta”, a ordinare che la Scavo-ter fosse tra le imprese chiamate a lavorare sul porto di Imperia sarebbe stato il boss Giuseppe Marcianò in persona, considerato boss del Ponente ligure e capo della locale di Ventimiglia e per questo di recente condannato a sedici anni di carcere.
Ascoltato dai carabinieri del Nucleo investigativo di Imperia, il boss parla dei lavori al Porto di Imperia con Ignazio Sottile, cui chiede – sintetizzano gli investigatori – «chi siano i calabresi che avevano lavorato al Porto di Imperia che hanno l’impresa. Sottile risponde che si tratta dei Pellegrino, Marcianò G. specifica che si tratta di uno di Cipressa ma che non ricorda il nome. Sottile suggerisce possa trattarsi di Fotia».
Un dettaglio su cui inizialmente il boss sembra un po’ dubbioso, anche se poi riconosce: «Una volta lo hanno fatto un po’ di lavoro che l’ho mandato io a Fotia al porto (…inc…) capisci… appena hanno fatto… incominciarono il porto l’ho mandato da una parte ed è andato a fare qualche lavoro (…inc…) pure a Ospedaletti».

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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