Nicolino e la solitudine di Giannetto
Nicolino proprio non lo poteva soffrire, quel Giannetto lì. Da una parte, la rabbia criminale dei Grande Aracri che (per fortuna) non ha avuto modo di esplicarsi; dall’altra l’ennesima nota al merito…
Nicolino proprio non lo poteva soffrire, quel Giannetto lì. Da una parte, la rabbia criminale dei Grande Aracri che (per fortuna) non ha avuto modo di esplicarsi; dall’altra l’ennesima nota al merito per il sindaco di uno dei Comuni a più alta densità mafiosa della Calabria e non solo. Una sorta di “riconoscimento”, per Gianni Speranza, il sigillo più autentico ai suoi dieci anni pericolosamente vissuti alla guida di Lamezia Terme.
Il “tributo” che racconta un impegno (autenticamente antindrangheta) arriva da Nicolino Grande Aracri, un tizio mica aduso a parlar faceto. Il boss di Cutro – simpaticamente detto “Manuzza” dai soliti amici degli amici – in un colloquio intercettato (ovviamente) sbotta e dà libero sfogo alla sua acrimonia verso Giannetto: «Va appresso al sindaco Speranza… a quello ci vorrebbe tirata una botta qua… quelli là vorrebbero messi con… (termine incomprensibile, ndr) e ammazzati tutti e due».
Poche frasi che cristallizzano drammaticamente la missione legalitaria di Speranza e al tempo stesso ingigantiscono i paradossi tutti interni alla pazza pazzissima cosa pubblica lametina. Perché il sindaco tanto avversato dai mafiosi è stato, anno dopo anno, letteralmente sfibrato anche dalla politica locale, colpito ripetutamente ai fianchi. In primis da un Pd alleato sulla carta ma di fatto più battagliero dell’opposizione ufficiale.
Speranza ha sopportato di tutto, in questi anni: strappi, aut aut, sfiducie minacciate e poi ritirate, ricatti, messe all’angolo, tradimenti. Ha dovuto resistere, sia alle minacce della ‘ndrangheta sia alla guerra di logoramento continua e perenne e tutta interna al suo stesso schieramento.
Giannetto ha dovuto fare ricorso a tutta la sua austerità professorale, alla sua lunga esperienza politica per far fronte ad assedi troppo spesso concentrici, fossero legali o anche prettamente criminali. Troppe volte è stato lasciato solo. Adesso la sua avventura, i suoi pericolosissimi dieci anni da amministratore di Lamezia, sono quasi giunti alla fine. Oltre i due mandati consecutivi un sindaco non può andare.
Ed è sommamente paradossale che il più sincero attestato alla sua parabola umana e politica non arrivi da sinistra, bensì da destra, da un collega che sta dall’altra parte della barricata politica, Sergio Abramo. Ebbene, il sindaco di Catanzaro ha riconosciuto a Giannetto molto più che l’onore delle armi: «Speranza è un sindaco galantuomo, un uomo dalla schiena diritta che ha fatto della legalità la sua missione di persona pubblica e di amministratore. Non mi meraviglio che la criminalità organizzata lo abbia considerato un ostacolo». No, nessuno, «nemmeno gli avversari politici, può mettere in discussione la limpidezza e la trasparenza dell’azione amministrativa del sindaco di Lamezia Terme. Ho avuto modo, in questi anni, di affrontare con Speranza alcune questioni che riguardano le nostre città, a cominciare dall’emergenza rifiuti, e ho sempre apprezzato la sua correttezza, la sua disponibilità, la sua apertura mentale. Mi permetto di associarmi anch’io a coloro che chiedono allo Stato che a Gianni Speranza vengano garantite protezione e sicurezza».
La solitudine è sempre paradossale, come tante altre cose. I parallelismi, invece, aiutano a illuminare certe realtà. Uno lo ha costruito con efficacia il vicepresidente della commissione Antimafia, Claudio Fava: «Mentre il sindaco di Brescello, Marcello Coffrini, è ancora al proprio posto dopo aver pubblicamente lodato il reggente locale della ‘ndrangheta Francesco Grande Aracri, il sindaco di Lamezia Gianni Speranza apprende in questi giorni che Nicolino Grande Aracri, capo della cosca di Cutro e fratello di Francesco, intendeva ucciderlo». Il resto è conseguenza logica: «Fino a quando in Italia si tollererà che un sindaco amico di un mafioso resti in carica, nessuno si stupisca se quegli stessi mafiosi minacciano di morte un altro sindaco colpevole di fare correttamente il proprio lavoro». Su quest’ultimo punto, come ribadiscono Abramo e Fava, non sembra ci sia spazio per i dubbi o alzate di sopracciglia. Nemmeno il Pd e alcune sue frange – che contestano mille sbagli al sindaco: dall’affaire Multiservizi alla demolizione dello zuccherificio, dalla scarsa attenzione urbanistica fino al pasticciaccio brutto (figuratevi un po’) della rotatoria di via del Progresso – contestano la dirittura morale di un sindaco ritenuto (per usare una locuzione trita, ma stavolta acconcia) un baluardo della legalità. Lo pensa, tra gli altri, il coordinatore regionale di Sel Nicola Fratoianni, secondo cui Speranza «rappresenta in Calabria la buona politica e la trincea più esposta nella affermazione della legalità e dell’onestà nell’amministrare la cosa pubblica», e lo pensa pure Avviso pubblico, che chiede alle autorità competenti «di adoperarsi nei modi e nelle forme ritenute più opportune per garantire la dovuta sicurezza al sindaco, ai suoi famigliari e ai suoi collaboratori».
Speranza, invece, non enfatizza, non fa drammi. Questi dieci anni tempestosi, tra ‘ndrangheta riottosa e politica litigiosa, l’hanno temprato ben bene.