Il colpo di fulmine con la Lupa silana
«È una femmina, sporca, ha le mammelle gonfie e perde sangue da un orecchio. Alla mia vista cerca di scappare, ma, quando comincio a parlarle con voce dolce, si ferma e mi fissa con un’espressione in…

«È una femmina, sporca, ha le mammelle gonfie e perde sangue da un orecchio. Alla mia vista cerca di scappare, ma, quando comincio a parlarle con voce dolce, si ferma e mi fissa con un’espressione interrogativa. Visto che non si faceva toccare, mi avvio verso casa. Arrivata, mi accorgo che mi ha seguito tenendosi a distanza e, senza più cercare il contatto, le porto del cibo.
Dopo due giorni riesco ad accarezzarla: non posso ancora oggi descrivere la sua espressione alle mie carezze». È un racconto ricco di emozioni quello di Laura Pesetti Gritti, pubblicato sul blog del corriere.it, 27esimaora, in cui descrive l’amicizia con una lupa della Sila, avvenuta ventisei anni fa. L’autrice abita a Milano, ma è cresciuta a Bergamo e in Val Taleggio: il padre aveva un allevamento di cani, quindi ha imparato a prendersi cura dagli animali fin da bambina. Non è più tornata in Calabria, da quell’estate di 26 anni fa in cui ha detto addio a Lupa. «Provo rimorso per non averla portata con me — racconta —. Il veterinario mi dice che non sarebbe stato amore, ma egoismo. Però sono convinta che insieme saremmo state felici»
Ed ecco che cosa è successo quel giorno: «Si butta ai miei piedi in segno di sottomissione. Ora potevo pulirla e curarla. Aveva delle ferite all’orecchio molto infette, le mammelle erano dure e rosse (probabilmente le avevano ucciso i piccoli), era piena di zecche e croste. In pochi giorni guarisce e diventa il cane più bello e strano che avessi mai visto. I contadini del posto mi consigliano di cacciarla perché, essendo un incrocio con un lupo della Sila, non dovevo fidarmi. Di questi animali non so molto, solo notizie apprese dai documentari e dai racconti della gente del posto. Dicono che sono selvatici, difficilmente avvicinabili, aggressivi. Vivono in branchi di pochi esemplari, le femmine quando partoriscono si dedicano completamente ai piccoli: se c’è carestia di cibo, riescono a non andare in calore anche per anni. Lupa (così l’ho chiamata) non si allontana da me per tutta l’estate. Adora i miei figli e quando li sgrido si sdraia ai loro piedi ridendo (mostra i denti) e strusciando la testa sulle loro gambe per consolarli. Ai primi di settembre si deve tornare a Milano. Di portarla con noi non se ne parla proprio. Sono riuscita a farle di tutto tranne che convincerla ad entrare in casa, lei si ferma sempre solo in giardino. I contadini (un po’ rassicurati dalla sua mansuetudine) mi dicono di non preoccuparmi, che qualcosa da mangiare gliela avrebbero data. Passa l’inverno. Penso spesso a lei, ma sono quasi certa che non la rivedrò più».
Laura Pesetti Gritti veniva a trascorrere l’estate nella nostra regione. «La mia prima vacanza in Calabria – racconta – risale al 1975. Mi innamorai subito di quei luoghi. L’anno successivo riuscii a trovare la casa nella quale sarei tornata per 14 anni, un posto fuori dal mondo, non c’era niente, qualche casa colonica e uno spaccio che vendeva dal pane ai giornali. Avevo due bambini, uno di 9 e l’altro di 4 anni. Il mio medico, quando gli chiesi di rifornirmi di una piccola farmacia e gli spiegai dove andavo, mi diede dell’incosciente e anche un po’ della pazza. Partivo in treno a fine giugno con i figli, i gatti, le valigie. Alla stazione di Paola trovavo il padrone di casa che mi accompagnava in macchina, perché il paese distava 20 km e non c’erano mezzi per arrivarci. In agosto ci raggiungeva mio marito, i primi di settembre si tornava a Milano».
L’ultima estate non la dimenticherà mai: «Quando arrivo mi accolgono brutte notizie. Roby, un segugio che mi aspettava da quattordici anni, è morto a giugno nel mio giardino; Pippo (un altro cane) è sparito e Chiccolino, un gattino soriano, è finito sotto le ruote dell’unico camion che è passato quell’inverno. E Lupa? Nessuno ne sa nulla. Un contadino mi dice che gli è parso di averla vista in un gruppo di cani rinselvatichiti — come ce n’erano tanti in quegli anni in Calabria — che vivono sulle montagne dietro casa. La cerco e la chiamo per tutta l’estate. Niente. In fondo al cuore sono contenta che sia andata così. Quello era il mio addio alla Calabria e il fatto di non lasciare amori mi faceva sembrare tutto meno doloroso. Arriva settembre: saluto tutti, amici, contadini, il mare. Preparo le valigie e la mattina comincio a caricare la macchina quando vedo una saetta che scende dalla montagna. Il tempo di girarmi e mi ritrovo Lupa ai piedi, si accuccia e guaisce. Non poteva non salutarmi. L’abbraccio e la sento piangere. Il suo branco fermo a metà montagna dà segni di impazienza. Lei mi lecca le mani, io la bacio, lei si svincola e corre verso il suo gruppo. Salgo in macchina. Arrivo a Milano che è ormai notte, ma io non sono ancora riuscita a smettere di piangere. Sono passati ventisei anni da quell’ultima estate in Calabria, ma il ricordo di Lupa e del suo grande amore ancora mi commuove come al momento che le ho detto addio».