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Sbarchi, la tragedia raccontata da una bimba

REGGIO CALABRIA Nella sua seconda vita, A. è seduta composta al tavolo della sala grande di quella che da qualche giorno chiama casa. È alta per i suoi 12 anni e magra da annegare quasi nella felpa c…

Pubblicato il: 19/04/2015 – 10:17
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Sbarchi, la tragedia raccontata da una bimba

REGGIO CALABRIA Nella sua seconda vita, A. è seduta composta al tavolo della sala grande di quella che da qualche giorno chiama casa. È alta per i suoi 12 anni e magra da annegare quasi nella felpa che si stringe addosso. Mentre con calma si disfa le treccine, lo sguardo è perso in un orizzonte lontano, che corre oltre i tetti di una città che non conosce, ma in cui sembra destinata a vivere. Il viso è una maschera impassibile di ebano, rotta solo da un breve sorriso quando dalla cucina la chiamano per chiederle una mano. Piccoli lavoretti che diventano anche un’informale lezione di italiano, futuro strumento essenziale di questa sua seconda vita. La prima vita di A. è finita quando ha visto sparire fra le onde la madre, il padre, la sorellina più piccola, travolti da quel barcone su cui viaggiavano e che si è rovesciato come un guscio di noce.

 

LA TRAGEDIA VISTA DA UNA BIMBA
Lei è stata più fortunata, non sa spiegare come – ha raccontato la prima e unica volta in cui ha raccontato quello che le era successo – è riuscita ad aggrapparsi a qualcosa ed è stata salvata. I suoi no, altri quattrocento no. Quel barcone troppo carico su cui cercavano la salvezza è stato la loro condanna. Chi non si poteva permettere le tariffe più alte ha dovuto viaggiare in stiva, ma i trafficanti di uomini hanno esagerato. Hanno fatto salire troppa gente. Li hanno costretti ad ammassarsi in quello spazio angusto e in breve tempo hanno iniziato a stare male, a morire soffocati da troppi altri corpi, divenuti muro. Così si è generato il panico, così in troppi hanno cercato di uscire sul ponte a respirare, così la barca ha perso stabilità e si è rovesciata. Così A. ha perso tutta la sua famiglia. La sua storia l’ha raccontata una volta sola, in un inglese corretto e fluente da ragazzina colta e istruita, al presidente della comunità Papa Giovanni XXIII, Giovanni Fortugno.

 

ACCOLTA IN COMUNITÀ
Come a ogni sbarco, Fortugno che per la sua comunità è anche il responsabile internazionale migrazioni, era presente, pronto a dare una mano. Quando ha saputo la storia della ragazzina, ha fatto di tutto perché venisse affidata a loro. Lei, insieme alla donna eritrea che ha partorito a bordo della nave Orione, è la prima ospite nel nuovissimo immobile della comunità, destinato a diventare a breve il primo centro Sprarr – Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – per minori non accompagnati della città di Reggio Calabria. “Per adesso abbiamo evitato di farle troppe domande sul naufragio. Lei ne ha parlato compiutamente una volta sola, al porto, poi ha evitato qualsiasi accenno. Le stiamo lasciando il tempo di abituarsi al nuovo ambiente, di metabolizzare quello che è successo. Appena possibile faremo partire gli accertamenti per cercare di capire se ha parenti in vita in Italia o in Europa e alla luce di questo dato vedremo cosa fare”. Nel frattempo A. rimane ospite del centro, che in questi giorni sta affrettando i lavori per essere pronto ad affrontare l’emergenza. L’immobile, finanziato con i fondi dell’Arcidiocesi, è stato da poco affidato alla comunità che con i fondi della Conferenza episcopale sta provvedendo in tutta fretta agli arredi. Da tempo la comunità, anima del coordinamento diocesano che con l’approvazione della Prefettura collabora alla gestione degli sbarchi, da tempo si prodiga per i disperati che approdano sulla sponda nord del Mediterraneo. Ma adesso vuole fare di più per tamponare la nuova emergenza. Che poi – dice Fortugno – emergenza non è.

 

ESODO ANNUNCIATO
«Da tempo sappiamo che in Libano, Libia, Turchia, Iraq ci sono milioni di profughi pronti a partire. Un calcolo approssimato per difetto dice che i numeri sono pari a quelli lasciati in eredità dalla seconda gyrra mondiale ma moltiplicati per tre». Un business infinito per le organizzazioni criminali che lo gestiscono dall’altra parte del Mediterraneo, come per mafia e ‘ndrangheta che – ipotizzano le procure e in tal senso stanno indagando – hanno messo da tempo le mani su un settore di mercato redditizio e potenzialmente inesauribile. Con un Medio – Oriente balcanizzato dalle bandiere nere del califfato, in origine cresciute all’ombra degli scomposti interventi delle intelligence occidentali – “in Libia il caos lo hanno portato i Paesi occidentali, primo fra tutti la Francia, la Siria era il paese con il maggior numero di profughi di tutto il Medio Oriente, adesso è una polveriera” mastica amaro Fortugno- e un Centrafrica stritolato tra l’atavica miseria e l’avanzata di Boko Haram, quello che si affaccia sulle coste libiche o turche è un esodo di dimensioni epocali.

 

BUSINESS CRIMINALE
Milioni di disperati pronti a tutto pur di lasciarsi alle spalle la miseria, la paura, la morte, per le organizzazioni criminali sono solo un esercito infinito di clienti, disposti a tutto pur di accaparrarsi un passaggio oltremare. Ma il business non finisce con la traversata. Le inchieste hanno già dimostrato come ndrangheta, mafia e le altre organizzazioni cui hanno accordato il loro cortese permesso – Mafia capitale è finita a gestire un centro d’accoglienza in Calabria con l’avallo dei Mancuso – da tempo abbiano messo le mani sulla macchina dell’emergenza, ma oltre alle infiltrazioni nell’economia legale che ruota attorno all’emergenza Mediterraneo, c’è il mondo nascosto dei business illegali.
«Il traffico di uomini si sta specializzando in vari settori – spiega Fortugno –. Dalle testimonianze dei profughi, sappiamo ad esempio che in Libia , c’è una casa in cui le donne vengono violentate sistematicamente per far capire loro che l’unico futuro che hanno di fronte è la strada. Qui a Reggio noi ne abbiamo salvate tre, che alla fine hanno anche denunciato i propri sfruttatori, così come siamo riusciti a far saltare quello che sospettiamo fosse un traffico di minori destinato al mercato degli organi». Un incubo di cui da tempo si parla, divenuto oggetto di film, libri e sceneggiati, ma mai affrontato in maniera sistematica e compiuta.

 

MERCATO DEGLI ORGANI?
«Un minore non accompagnato di fatto per la legge non esiste – spiega Fortugno –. Senza documenti, senza una rete familiare, senza alcuna possibilità di verificare le informazioni che fornisce è un fantasma che riempie le statistiche, spesso lasciando dei buchi. I dati degli ultimi anni dicono che centinaia di minori sono scomparsi dopo essere stati accolti nei centri, ma che fine abbiano fatto non è dato sapere. Qui a Reggio, almeno in un caso, un’idea ce la siamo fatta. Ci siamo accorti che una decina di ragazzi, tutti di diverse nazionalità, avevano come riferimento un unico numero di telefono italiano. La cosa ci ha dato da pensare e quando sono scomparsi abbiamo immediatamente attivato le ricerche, temendo il peggio. Sono stati rintracciati da un nostro mediatore sul viale Galileo Galilei, in compagnia di un uomo straniero, che si stava già organizzando per portarli via e che si è dileguato dopo aver aggredito il nostro mediatore che era intervenuto per bloccarlo». Ma questo non è che un caso, che troppe volte, magari lontano dagli occhi attenti di associazioni o istituzioni, si replica uguale a se stesso, senza lasciare traccia alcuna.

 

CORRIDOI UMANITARI
«L’unica soluzione per fermare questo ed altri business – scandisce Fortugno – è l’apertura di corridoi umanitari che permettano di far arrivare queste persone in sicurezza. Noi abbiamo una proposta, che a breve porteremo all’attenzione del ministero dell’Interno. Da tempo, lavoriamo in un campo profughi in Libano, dove abbiamo avviato un censimento di cento famiglie pronte a partire. Vogliamo chiedere al ministero il permesso di curare noi l’ingresso di queste persone per via legale, con un aereo charter e in sicurezza, per dimostrare come con un minimo di pianificazione si possa far saltare il b usiness illegale degli sbarchi, ma anche risparmiare gli infiniti fondi che servono per mantenere i pattugliamenti nel Mediterraneo”. Con una gestione pianificata delle partenze e dell’accoglienza, magari organizzata di concerto dai Paesi dell’Unione Europea, spiega Fortugno, non solo si tutelerebbero i profughi, ma si eviterebbe lo spreco di fondi che oggi si perdono nei mille rivoli dell’emergenza.

 

LA “QUOTIDIANITÀ”
Nel frattempo però, la macchina continua a camminare tra soluzioni tampone, residenze improvvisate e sistemazioni temporanee, la cui gestione è scaricata in larga parte sulle spalle dei volontari. In occasione degli ultimi sbarchi a Reggio Calabria, è bastata la presenza di un numero superiore alle attese di migranti affetti da patologie cutanee non gravi come scabbia e pediculosi per far saltare il piano di riparto e costringere la prefettura a individuare in fretta e furia soluzioni d’emergenza. In trecento sono stati sistemati in una tensostruttura dotata solo di quattro bagni e lasciati a dormire per terra, nei sacchi a pelo. Per i trattamenti sanitari invece, si è scelto un campetto da calcio alla periferia sud della città. «L’Europa – dice un corrispondente straniero chiamato a documentare la situazione – si è commossa per la tragedia della Germanwings, ma nel Mediterraneo, ad ogni naufragio, è come se quella tragedia si ripetesse regolarmente. Dai dati che conosciamo, almeno una volta alla settimana».

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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