"Cosa mia 4", chieste pene pesanti per due legali
REGGIO CALABRIA Sono pene severe quelle invocate dal sostituto della Procura di Reggio Calabria, Roberto Di Palma, al termine della requisitoria per il processo “Cosa mia 4”, sviluppata nelle precede…

REGGIO CALABRIA Sono pene severe quelle invocate dal sostituto della Procura di Reggio Calabria, Roberto Di Palma, al termine della requisitoria per il processo “Cosa mia 4”, sviluppata nelle precedenti udienze dal pm Giovanni Musarò, da tempo trasferito a Roma. A fare rumore sono soprattutto le pene durissime chieste per i due legali oggi alla sbarra, Vincenzo Minasi e Francesco Cardone. Se per quest’ultimo, imputato per favoreggiamento personale aggravato dall’aver favorito il clan, la condanna invocata è di 5 anni e 4 mesi, è una pena da associato quella chiesta per Minasi, imputato per associazione mafiosa ed altri reati e per questo per la pubblica accusa da punire con 11 anni e 6 mesi di carcere. Medesima pena è stata chiesta per Gesuele Misale, mentre è a 13 anni e 2 mesi di carcere che per la pubblica accusa dovrebbe essere condannato Domenico Nasso. Infine, il pm Di Palma ha chiesto al Tribunale di condannare a 5 anni e 4 mesi Vincenzo Galimi, mentre è di 4 anni la pena chiesta per i figli Antonio e Giuseppe.
Figlia del fortunato filone investigativo Cosa Mia, inaugurato dall’inchiesta coordinata dal pm Di Palma che ha svelato l’ingerenza delle cosche nei cantieri della Salerno- Reggio Calabria, l’indagine Cosa mia 4 ha svelato il raffinato castello finanziario dietro cui il clan aveva tentato di mascherare il proprio patrimonio, anche grazie all’essenziale apporto dell’avvocato Vincenzo Minasi. Secondo l’accusa, era lui a mettere i patrimoni del clan al riparo dalle “attenzioni” di investigatori ed inquirenti tramite società di comodo intestate a prestanome, in Italia, ma soprattutto negli Stati Uniti e in Svizzera, svolgendo un ruolo che andava ben oltre quello di difensore. Per i pm, Minasi – già condannato in via definitiva a Milano a 3 anni 10 mesi 20 giorni per i suoi rapporti poco ortodossi con il clan Lampada era il vero «consigliori della cosca, del quale gestiva gli interessi economici e a cui forniva consulenze in materia finanziaria e intermediazione immobiliare.