"L'invenzione senza futuro”, dai Lumiére ai giorni nostri
VILLA SAN GIOVANNI Una donna si accomoda in prima fila in una delle sedie del palco e attende che davanti a lei succeda qualcosa. Alle sue spalle due giovanotti azionano una scatola a una manovella a…

VILLA SAN GIOVANNI Una donna si accomoda in prima fila in una delle sedie del palco e attende che davanti a lei succeda qualcosa. Alle sue spalle due giovanotti azionano una scatola a una manovella adagiata su un treppiedi. Un fascio di luce e la donna, che in un primo momento è incuriosita, comincia ad avere sul proprio volto un’espressione di terrore, si aggrappa alla sedia, ansima e poi sviene. «Questa è l’ultima volta che cineproiettiamo i treni, Louis». Al “Teatro Primo” di Villa San Giovanni, ieri sera era quella sera. La sera del 28 dicembre 1895 in cui ebbe luogo la nascita del cinema. Lo spettacolo “L’invenzione senza futuro. Viaggio nel cinema in 60 minuti”, di e con Federico Giani, Celeste Gugliandolo, Mauro Parrinello, e ideato anche da Francesca Montanino, parte dal “Gran Cafè” di Parigi, in cui i fratelli Lumière proiettarono i loro primi dieci film. Lo spettacolo della “Compagnia DeiDemoni” è senza dubbio un grande elogio al cinema, ma non esclusivamente alla sua nascita: più di 50 anni di film sono “occultati” in questa pièce. Lo spettacolo è strutturato in due tempi narrativi. Il primo riguarda l’invenzione del cinematografo e le sue evoluzioni, messe a punto nell’azienda di famiglia Lumière che produce prodotti fotografici. Se Auguste è più timido e romantico, il fratello minore è risoluto nel voler smentire il padre che considera il loro lavoro «un’invenzione senza futuro». L’altro tempo è concentrato sull’infanzia dei fratelli francesi che scoprirono, grazie a una candela e a una parete bianca, come si potessero proiettare le immagini: le ombre cinesi sono una fase embrionale del progetto che avrebbero raffinato e sviluppato in seguito. Ma c’è un momento in cui i due intervalli si fondono e l’attimo diventa commovente. Sul proscenio Louis è il nostro “qui e ora”. Tiene in mano la lettera della madre ormai morta, contenuta in una scatola dei ricordi. Alle sue spalle tornano dal passato – come in flashback – un giovane Auguste e la donna, che diventano materia delle parole che Louis legge nella propria mente. Come la scena d’amore tra Auguste e la moglie Marie, anche questa fa scendere una lacrima. Per un’ora di rappresentazione i tre interpreti diventano pellicola proiettata in teatro. Riprese al ralenti, luci ingiallite, rumori gracidanti e diventano celluloide: la scena comica del giardiniere e l’annaffiatoio; i coniugi Lumière che si scambiano baci; fotogrammi di film realizzati molti anni più tardi.
Questo lavoro teatrale contiene la settima arte e le sue grandi emozioni. Molte delle battute che i protagonisti recitano sono citazione che appartengono alla cinematografia mondiale. La bravura dei tre attori è stata quella di interpretarle con naturale scioltezza, senza lasciare spazio a forzature. La danza che Marie definisce «il balletto del futuro», è composta da musical che tutti conosciamo: La febbre del sabato sera, Flash dance, Grease, per citarne alcuni. Celeste Gugliandolo (Marie/La signora Curie/La donna al cinema) diventa Judy Garland nel “Mago di Oz” e Audry Hepburn in “Colazione da Tiffany”. Canta con voce melodica le colonne sonore di entrambi i film. In chiusura, la spettatrice dell’inizio ha ripreso posto in platea. Stavolta, però, tiene in mano popcorn e una bibita ghiacciata. I tempi sono diversi e si assiste a una versione restaurata di “Via col vento”. Esce dalla sala parlando al cellulare. L’attimo dopo i due fratelli inorridiscono di fronte all’evoluzione che ha subìto il loro lavoro. «Il sonoro è un’invenzione terribile. Io ho male alle orecchie», commenta Auguste, mentre è il colore, per Louis, la vera «invenzione senza futuro». La drammaturgia è ricca di elementi che ipotizzano un’esistenza precostituita del cinema. È come se tutto fosse già stato scritto; ai fratelli Lumière il compito di accoglierlo e mostrarlo al mondo. Contando su musiche originali composte da Giorgio Mirto ed eseguite al pianoforte da Francesco Villa, il lavoro di questi tre attori è stato talmente convincente che tra il pubblico c’è stato chi si è lasciato sfuggire un «Ma sono geniali». Sì, lo sono stati. Niente da obiettare.
Miriam Giunea
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