TSUNAMI RENDE | «La coop a disposizione della cosca»
CATANZARO «È stata riscontrata nel corso delle indagini la sistematicità di condotte di favore in cambio della promessa dell’impegno elettorale che in occasione di plurime manifestazioni elettorali e…

CATANZARO «È stata riscontrata nel corso delle indagini la sistematicità di condotte di favore in cambio della promessa dell’impegno elettorale che in occasione di plurime manifestazioni elettorali era stato garantito e fornito a Sandro Principe e a soggetti che a lui facevano riferimento». Lo ha affermato il procuratore vicario della Dda di Catanzaro Giovanni Bombardieri nel corso della conferenza stampa sull’operazione che questa mattina ha portato all’arresto dell’ex sottosegretario e sindaco di Rende, Sandro Principe e di altri quattro esponenti politici: Umberto Bernaudo, anche’egli già sindaco di Rende, l’ex consigliere regionale Rosario Mirabelli, l’ex consigliere provinciale Pietro Ruffolo e l’ex consigliere e assessore comunale Giuseppe Gagliardi.
Il provvedimento restrittivo – emesso dal gip del Tribunale di Catanzaro in seguito alle indagini condotte dai carabinieri del comando provinciale di Cosenza e coordinate dal sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Pierpaolo Bruni – è stato poi notificato in carcere a quattro elementi di spicco della cosca Lanzino-Ruà: Adolfo D’Ambrosio, Michele Di Puppo, Francesco Patitucci, Umberto Di Puppo e Marco Paolo Lento. Facevano tutti parte, secondo quanto appurato dagli inquirenti, «della realtà inquinata in cui operava l’amministrazione comunale di Rende in una determinata epoca».
«Questa operazione ci descrive – continua Bombardieri – quella che nell’ambito della criminalità organizzata cosentina veniva considerata la cooperativa della cosca. Alcuni collaboratori dicono che quando si parlava della cosca Lanzino-Ruà si diceva che la cosca aveva a disposizione una cooperativa che era stata creata per loro ed era stata creata in cambio di favori elettorali».
L’indagine che ha portato all’arresto di dieci persone, hanno specificato gli inquirenti, nasce da accertamenti investigativi aventi ad oggetto plurime dichiarazioni di collaboratori ma anche di soggetti terzi come dirigenti dell’amministrazione comunale, esponenti politici, come l’ex sindaco Vittorio Cavalcanti, arrivati in epoca successiva a quella dei fatti delle indagini, e anche soggetti esterni all’amministrazione stessa. Tutte le dichiarazioni convergono nel descrivere una realtà nella quale vigevano le cosiddette “regole rendesi”. «Qui ci sono le regole rendesi che devono essere rispettate», dicevano gli interlocutori politici ai dirigenti del comune sui quali facevano pressioni su gli interventi da mettere in campo, comprese alcune concessioni edilizie.
BOMBARDIERI: I SOLDI DEGLI LSU AL CLAN «La cosca beneficiava economicamente, secondo quanto sostengono da alcuni collaboratori, di parte delle retribuzioni di persone assunte dalla cooperativa rendese per i lavori socialmente utili. Persone riferibili alla cosca Lanzino-Ruà» ha aggiunto il procuratore vicario di catanzaro.
«Viene descritto un meccanismo secondo il quale – continua Bombardieri – parte di queste retribuzioni tornava indietro, presso Adolfo D’Ambrosio o altri soggetti, e veniva versato nella cosiddetta bacinella della criminalità organizzata». Le condotte criminose che hanno portato a formulare l’accusa di concorso esterno sono plurime e reiterate nel tempo e riguarderebbero diversi aspetti della vita amministrativa del comune di Rende: dalla concessione di servizi (come il bar Colibrì, assegnato a una congiunta di D’Ambrosio) o le assunzioni all’interno della cooperativa che avvenivano, ha dichiarato il procuratore, «attraverso indicazioni nominative da parte di Principe o Ruffolo, che fornivano agli amministratori della coop indicazioni su chi doveva essere assunto».
La cooperativa sociale era in mano alla cosca e non si poteva toccare o andarle contro. Così gli investigatori hanno registrato le minacce che Michele Di Puppo e un suo parente hanno rivolto in maniera aggressiva e violenta nei confronti di un ex dipendente che era stato licenziato e che si era rivolto all’autorita’ giudiziaria per vedere tutelati i propri diritti. Ma gli è stato intimato di lasciar perdere e di non ledere la cooperativa e l’amministrazione comunale.
LA DIFFICILE AMMINISTRAZIONE DI CAVALCANTI Non è stato facile per Vittorio Cavalcanti provare a fare il primo cittadino di Rende. Da quanto emerso dalle indagini, infatti, Principe avrebbe continuato la sua attività di “sindaco” anche durante l’amministrazione di Cavalcanti. Eletto a maggio 2011, Vittorio Cavalcanti si è dimesso a luglio 2013. Troppe pressioni. L’ex sindaco, dice Bombardieri, addirittura parla di «riunioni di dirigenti convocati dallo stesso Principe senza che Cavalcanti ne sapesse niente. Ci racconta di un’occasione in cui nel corso di un incontro pubblico Cavalcanti aveva deciso di esporre un suo pensiero di critica nei confronti della cooperativa sociale e gli è stato impedito di parlare». «Quello che emerge in queste indagini – dice il procuratore – sicuramente è il ruolo di Principe all’interno dell’amministrazione comunale che non si è limitato solamente alla sua partecipazione come sindaco ma è proseguito nel tempo anche in relazione a e episodi relativi a periodi successivi in cui lui non aveva più questa carica ma influenzava pesantemente e fortemente l’agire dell’amministrazione. Di questo ci riferiscono non i collaboratori di giustizia ma i soggetti che hanno vissuto questa esperienza. Faccio riferimento, ad esempio alle dichiarazioni dell’ex sindaco di Rende, Vittorio Cavalcanti, che da subito ha avvertito questa pressione». In un colloquio intercettato il sindaco dimissionario parla con la moglie e, lamentandosi delle pressioni che subiva da parte di quello che veniva considerato “il capo”, afferma: «Mi dice che devo fare il sindaco e non il procuratore della Repubblica». «Questa conversazione è estremamente significativa – afferma il magistrato – noi auspichiamo che gli amministratori pubblici non debbano fare il procuratore della Repubblica perché quando interviene il procuratore della Repubblica è già stato commesso un reato. Noi vorremmo che gli amministratori pubblici, i politici, facessero le persone oneste e si occupassero del bene comune in maniera legittima e regolare in modo da evitare l’intervento delle Procure. Questo sfogo di Cavalcanti è estremamente significativo dell’atmosfera che si respirava in quel momento nel Comune».
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it