La Corte d'appello mandi libero Peppino Villella
Martedì 5 aprile la Corte di appello di Catanzaro deciderà la sorte di Peppino Villella. Che fare del teschio della discordia? Da un lato, l’università di Torino e il museo “Cesare Lombroso” ch…

Martedì 5 aprile la Corte di appello di Catanzaro deciderà la sorte di Peppino Villella. Che fare del teschio della discordia? Da un lato, l’università di Torino e il museo “Cesare Lombroso” che il cranio non lo vogliono mollare; e dall’altro il Comitato “No Lombroso” e il comune di Motta Santa Lucia che il cranio lo vogliono sepellire. Per non scontentare nessuno, dopo sette anni di contesa, non sorprenderebbe un epilogo salomonico: metà cranio nel museo e metà al cimitero. L’unico a lagnarsene potrebbe essere Villella, ma il poveraccio ai calci nei denti c’è abituato. Pensate: Lombroso asserì d’aver rintracciato la prova che dimostrava la “sua” teoria del delinquente “per nascita” proprio nel cranio del delinquente (e delinquente perché brigante) calabrese. Ma lui, Villella, come attestano i documenti storici – fate attenzione! – non era neppure un brigante: Giuseppe Villella era un mortodifame arrestato per due furtarelli. Una manipolazione di dati e informazioni: ecco com’è andata. Un imbroglio, come dire?, scientifico.
TOCCA AI GIUDICI RISTABILIRE LA VERITA’ STORICA Impotente la cultura nell’assegnare, in questa emblematica vicenda del cranio di Villella, a Lombroso il torto che gli spetta e a Villella un po’ di pietas, tocca ai giudici ristabilire l’ordine delle cose naturali. Secondo cui un corpo, o quel che di esso rimane, va seppellito. O il rettore dell’Università di Torino e le Istituzioni che finanziano il “Museo degli orrori” con danaro pubblico hanno un’altra idea? Dovranno, i giudici, in sede di Corte di appello a Catanzaro, decidere se Giuseppe Villella merita d’essere ancora rinchiuso o se potrà finalmente andare libero: 145 anni di carcere, per qualche furtarello e l’incendio di un mulino, in fondo possono bastare. Peppino, un poveraccio di calabrese che non è mai stato un “brigante”, è stato rinchiuso, da vivo, nel 1870 e poi, dal 1871, per sempre. Sì, certo, solo il cranio, perché il resto del corpo dev’essere stato tumulato chissà dove. Ma il cervello, lo diceva già quel genio di Alcmeone, medico, filosofo, fisiologo che visse a Crotone nel V secolo a.C., è l’organo più importante.
QUEL BLUFF DELLA “FOSSETTA OCCIPITALE MEDIANA” Tra Alcmeone e Lombroso si coglie un’analogia: entrambi dissezionavano cadaveri. Il primo, però, per capire il funzionamento del corpo umano. Il medico veronese, invece, scopechiava i crani di briganti, prostitute e omosessuali, per cercare la “fossetta occipitale mediana” a supporto della sua stravaganza (così definita dalla comunità scientifica mondiale) sul delinquente atavico. Infine, nel carcere di Vigevano, il 4 gennaio del 1871, Cesare Lombroso asserì d’averla trovata nella testa di Villella. Evviva! Perciò, Villella deve rimane in una teca del Museo Lombroso di Torino e non può essere seppellito nel suo paese d’origine, Motta Santa Lucia. Teorizzano i “colti” carcerieri che quel cranio non va tumulato perché ha un enorme valore culturale e perché ai visitatori soltanto attraverso quelle ossa (nel museo di resti umani ce ne sono oltre 900) si possono spiegare le tesi lombrosiane e tutti gli sfracelli dell’antropologia criminale positivista. Come dire che anche il cranio di Enzo Tortora andrebbe esposto in un eventuale museo della “malagiustizia” a dimostrazione degli orrori cui conduce l’aberrazione del diritto. Insomma: roba da manicomio.
VILLELLA EMBLEMA DI UNA CLAMOROSA INGIUSTIZIA STORICA Si riconoscono gli errori dello Stato italiano appena nato nei confronti dei meridionali trasformati in italiani con le baionette, ma non si fa alcun passo indietro sul “caso” Villella, simbolo di una clamorosa ingiustizia storica. Al punto che, per riscattare il cranio di un uomo senz’arte né parte, colpevole d’essere nato in un’epoca in cui l’esordiente Italia gettava in carcere (o fucilava) briganti e mortidifame del Sud, si è dovuto ricorrere al Tribunale. Che il 5 ottobre del 2012 ha dato ragione a Villella. Emettendo una sentenza (Tribunale di Lamezia Terme) che, ritenendo fondate le ragioni degli avvocati ingaggiati dal Comitato “No Lombroso” e dal comune di Motta Santa Lucia, ha ingiunto al museo “Cesare Lombroso” ed all’università di Torino (condannati anche alle spese di trasporto e tumulazione) di restituire il cranio di Villella al suo paese d’origine perché sia finalmente seppellito. Da un’istituzione universitaria ci si sarebbe atteso un atto di contrizione. Invece no. Resistono nel tenersi Villella. E per farlo non disdegnano di cadere nel ridicolo, sostenendo che gli amici di Peppino sono avversari della scienza.
I GIUDICI ASSICURINO DUE METRI DI TERRA A VILLELLA L’ordinanza del Tribunale di Lamezia è stata sospesa su richiesta dell’università di Torino dalla Corte di Appello di Catanzaro che ha fissato la discussione una prima volta il 2 dicembre 2014 e, successivamente, ad aprile 2016. Cosa ci si aspetta ora dai giudici della Corte di Appello di Catanzaro? Che assicurino, dopo tanto tempo, a quel “tristissimo uomo – così lo descrive Lombroso – d’anni 69, contadino, ipocrita, astuto, taciturno, ostentatore di pratiche religiose, di cute oscura, tutto stortillato, che cammina a sghembo e aveva torcicollo non so bene se a destra o a sinistra”, morto di tisi, scorbuto e tifo nel carcere di Vigevano e che risponde al nome di Peppino Villella, due metri di terra. La “sapienza” congelata di Torino potrà, visto che a Villella ci tiene tanto, accontentarsi di un calco in gesso del prezioso cranio e seguitare a enfatizzare, se c’è ancora chi gli dà retta, le megagalattiche sciocchezze lombrosiane. E il suo imbroglio “scientifico”.
VIOLATE NORME GIURIDICHE, ETICHE, RELIGIOSE L’esposizione di quel cranio umano nel Museo viola ogni norma giuridica, etica, religiosa. Viola le norme che impongono che il cranio di una persona debba essere seppellito. Viola la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata nel 1948, che esige il rispetto dell’uomo e dei suoi resti mortali. Va contro i dettami biblici e quelli della cultura greca che ha animato l’Occidente. Antigone, nella tragedia di Sofocle, si fa murare viva perché viola la tremenda legge di Tebe che condanna i corpi dei traditori a putrefarsi senza sepoltura al di fuori delle mura. Così, per seppellire il fratello Polinice, e contro il volere di Creonte, lo zio tiranno, Antigone dà con le sue mani sepoltura a quel corpo. E la Bibbia? Espressamente chiarisce – nel secondo libro di Samuele, quando Davide recupera i corpi di Saul e dei suoi figli morti nella battaglia contro i Filistei per seppellirli – che essere privati della sepoltura è una maledizione di Dio e che, quindi, la sepoltura si concede anche ai criminali dopo l’esecuzione della pena capitale. Ma c’è una norma vincolante per ebrei e cristiani: precisamente i versetti 22/23 del Deuteronomio (ossia il quinto libro che sigilla il Pentateuco, i cinque libri venerati dalla tradizione giudaica e cristiana). Si tratta del libro che contiene alcuni discorsi di Mosè ed al cui interno vi sono le leggi che debbono reggere Israele pena la reazione (durissima, se si pensa alla poca duttilità del Dio dell’antico Testamento) e che nella parte indicata asserisce: «Quando un uomo ha commesso un peccato che merita la morte e tu l’ha appeso a un albero, il suo cadavere non dovrà rimanere appeso tutta la notte all’albero. Lo devi seppellire in quello stesso giorno, perché appeso è una maledizione di Dio e tu non devi contaminare la terra che il Signore tuo Dio ti ha dato in eredità». Non basta? Certo che sì.
“CENTO CITTA’ CONTRO IL MUSEO CESARE LOMBROSO”. UN LIBRO PER INFORMARSI Semmai, la domanda da farsi è: perché, a dis petto di tutto e d’ogni norma e ragione umana, etica e giuridica, i “sapienti” del Museo di Torino non lasciano libero di andare nella fossa il povero Villella? S’intuisce che c’è un interesse a tutelare il museo, visto che senza il cranio di Villella il rischio è di tenere aperto un ossario lugubre e culturalmente disastroso. Sarebbe ancora più grave, invece, se l’ostinazione poggiasse su un pregiudizio antimeridionale persistente in qualche sinapsi cerebrale che, magari a loro insaputa, precludesse la disamina equilibrata della questione. Il comitato “No Lombroso” ha mandato il libreria di recente un libro (“Cento città contro il museo Cesare Lombroso/La barbarie della falsa scienza inventa le Due Italie”, con breve sommario: “Provate a immaginare cosa accadrebbe negli Stati Uniti, se a New York esponessero una testa di soldato confederato dell’Alabama!”). È un testo utile, pur non condividendosi la richiesta di chiudere il museo, che dovrebbe finire nelle scuole, per far comprendere sia il punto di vista del Mezzogiorno rispetto alle ingiustizie subite da quando l’Italia s’è messa in cammino, allorquando si escogitarono le teorie più strampalate (a partire dalla “razza maledetta”) per legittimare la scelta delle “Due Italie” fondata sul divario di sviluppo Nord – Sud, che quanto siano duri a morire i pregiudizi culturali.
*Giornalista