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Reggio, il Comune toglie le licenze: chiude l'Oasi

REGGIO CALABRIA Il Comune di Reggio Calabria ha revocato tutte le licenze e le autorizzazioni all’Aldebaran, società proprietaria dell’Oasi club di Reggio Calabria, noto stabilimento balneare cittadi…

Pubblicato il: 20/04/2016 – 10:05
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Reggio, il Comune toglie le licenze: chiude l'Oasi

REGGIO CALABRIA Il Comune di Reggio Calabria ha revocato tutte le licenze e le autorizzazioni all’Aldebaran, società proprietaria dell’Oasi club di Reggio Calabria, noto stabilimento balneare cittadino, negli anni divenuto cuore pulsante anche della movida invernale. Un atto dovuto, dicono dall’amministrazione, dopo la revoca del certificato antimafia decisa dalla Prefettura, sulla base di una serie di elementi emersi in una serie di informative portate all’attenzione del prefetto Claudio Sammartino.
Per suo ordine, ristorante, lido, discoteca e sala ricevimenti dell’Oasi club dovranno chiudere i battenti, perché viene a mancare il presupposto fondamentale – la certificazione antimafia – perché possano essere erogate. Non è la prima volta che la Aldebaran e i suoi proprietari, i fratelli Pino e Mario Scaramuzzino, finiscono sotto la lente dell’antimafia.

I PENTITI Di loro hanno parlato diversi pentiti, primo fra tutti Nino Fiume, fidanzato storico della sorella del capocrimine Giuseppe De Stefano. All’Oasi – ha rivelato il pentito – i De Stefano e i loro uomini erano di casa. Certo, questo non risparmiava agli Scaramuzzino il pagamento di una “tassa”, ma si trattava solo di un’una tantum. « Ogni sera, per anni, ho passato tutte le sere d’estate all’Oasi e con Pino Scaramozzino (proprietario della celebre struttura, ndr) e altri andavamo a gustare un gelato da Cesare, in via Marina. Io lo ammiravo molto, perché si alzava ogni mattina alle cinque per lavorare. Ma Carmine mi disse di chiedergli dieci milioni. Per me queste cose non esistono». Per la Dda, numi tutelari degli imprenditori, i De Stefano avrebbero protetto e appoggiato anche i loro progetti di espansione. Quando i proprietari dell’Oasi sognavano di espandere lo stabilimento verso nord, aggiungendo una darsena turistica e un centro benessere, sarebbero stati proprio i De Stefano a proteggerli dagli appetiti dei Tegano. E forse non a caso, perché – ha affermato l’imprenditore Franco Labate al processo Meta – «l’Oasi sulla carta è di Scaramuzzino, ma in realtà è dei De Stefano. Scaramuzzino è venuto con tre miliardi, ma io non so se erano suoi o di Peppe De Stefano». Quale che fosse il rapporto con il capocrimine, di certo – ha messo a verbale Fiume – comporta degli obblighi e si paga a caro prezzo. «È una cosa che non ho mai avuto il coraggio di dire a Pino – ha messo a verbale il collaboratore – ma ricordo che una volta Giuseppe De Stefano mi mandò da lui al Papirus per farmi cambiare un assegno. Ricordo che mi era stato detto di ucciderlo quella sera stessa se non l’avesse cambiato». Pino Scaramuzzino però – ha raccontato il pentito – non sarebbe semplicemente un imprenditore a disposizione dei clan.

I DE STEFANO Grazie a lui, i De Stefano sarebbero anche entrati in contatto con la Reggio che conta, spesso ospite del ristorante e del lido di sua proprietà. «Quando c’è stato il sequestro dei beni dei De Stefano, noi avevamo tutte le carte in mano perchè tramite Pino Scaramuzzino, abbiamo conosciuto l’avvocato Giglio che era parente del giudice Giglio, che aveva in mano il processo». Ed è stato lui, ha svelato l’ex dirigente della Mobile Luigi Silipo, oggi a capo della stessa sezione a Roma, uno degli uomini di Peppe De Stefano nell’affare Perla dello Stretto. Tuttavia, il dato è che nelle intercettazioni dell’indagine Archi Astrea – ha spiegato in pubblica udienza il dirigente – emerge che Peppe De Stefano, attenzionato dagli investigatori subito dopo la sua scarcerazione, «aveva un ruolo apicale e gestiva direttamente l’affare della Perla tramite uomini suoi come Pino Rechichi (ex direttore operativo della Multiservizi, coinvolto nel procedimento Archi perché considerato diretta espressione dei Tegano all’interno della società) e Pino Scaramuzzino». Tutti elementi mai formalmente contestati a Pino Scaramuzzino, ma che potrebbero aver ingrossato il faldone di informative pervenute al prefetto, che proprio sulla base di quelle risultanze ha deciso di revocare al noto stabilimento i certificati antimafia.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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