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A Longobardi la speranza è Francesco Saliceti

Longobardi come Riace? Quasi. A Riace, a pensare al ripopolamento e al riempimento degli spazi urbani abbandonati, ci pensa Mimmo Lucano, a Longobardi (che non è un paese nordico di fede leghista m…

Pubblicato il: 13/05/2016 – 9:06
A Longobardi la speranza è Francesco Saliceti

Longobardi come Riace? Quasi. A Riace, a pensare al ripopolamento e al riempimento degli spazi urbani abbandonati, ci pensa Mimmo Lucano, a Longobardi (che non è un paese nordico di fede leghista ma un antico borgo in provincia di Cosenza) ci prova Francesco Saliceti con la sua degusteria “Magnatum” che, partendo dal “Bar sport” del paese avviato nel 1869, è diventata, grazie alle recensioni entusiaste delle riviste e delle guide più esigenti del settore, una calamita per buongustai e turisti. A Riace, al di là del clamore mediatico e del fatto in sé, semplicemente c’è stato un rovesciamento di prospettiva. Lo spiega bene Oscar Greco in un libro (badate!) del 2012 (“Lo sviluppo senza gioia”) che coglie, tre anni prima di “Fortune”, la straordinaria rilevanza del “fenomeno Riace”. Alla “povertà modernizzata” di cui è vittima il Mezzogiorno italiano, il sindaco ha risposto con “la potenza dei poveri”. Non è retorico né effimero l’inserimento di Mimmo Lucano tra le 50 persone più influenti della terra, secondo la rivista americana. Lucano s’è mosso con un “pensiero meridiano” forte: «La Calabria deve ritrovare se stessa riflettendo sulla propria storia». E facendo da sé, come Saliceti a Longobardi vecchia, che, dopo varie esperienze per il Belpaese, è rientrato. E coraggiosamente ha trasformato il “Bar sport”, incolore e senza pretese, in un luogo di raffinata gastronomia che a un certo punto ha preso il “volo” ed oggi porta per le vie del paese frotte di persone.

UNA “DEGUSTERIA” PER FERMARE LO SPOPOLAMENTO Lucano, in breve, ha dribblato lo schema economico dominante, secondo cui il Sud, palla al piede del Paese, è un Nord non sviluppato. Ed ha puntato sull’intelligenza (e la potenzialità) dei luoghi e delle persone, proiettando nel mondo un’altra immagine della Calabria e un’altra idea del Sud. A Longobardi, nel morente ma resistente agglomerato di case, simbolo di una storia lunga obnubilata da una dimenticanza di massa e colpito al cuore da un feroce abbandono, al punto che dei 2000 abitanti nel paese vecchio sono rimasti soltanto sessanta cristiani, il Mimmo Lucano, fatte le debite differenze, è questo piccolo imprenditore di 43 anni che ama le cose che fa. Racconta, tra un piatto e l’altro, la cucina calabrese (il suo punto di forza) e la contamina con i “saperi”, i sapori e le materie di tanti altri popoli. Lucano ha colto al volo l’opportunità dei migranti per ripopolare Riace, Saliceti, per far salire gente nell’antico abitato, esibisce 400 etichette di vini e una nutrita selezione di oli extravergine di oliva, ed ha escogitato, assieme alla moglie Giovanna Martire, che in cucina mette a profitto una laurea in lettere, una formula di successo che poggia su una proposta gastronomica originale e di qualità: bottega, osteria e cultura. Mangi, compri e fai un percorso gastronomico che è storia autentica del vissuto di questa parte del mondo. Così, per andare a Longobardi e sedersi nel “Bar sport” miracolosamente reincarnato in una elegantemente sobria “degusteria” devi prenotare con largo anticipo.

IL COMA TOPOGRAFICO CHE AFFLIGGE L’ENTROTERRA E’ nella Calabria interna che pulsa il cuore antico: Alvaro ieri, oggi Bevilacqua e l’antropologo Vito Teti ne sono convinti. Ma passeggiando tra le case di Longobardi, borgo dalla lunga epopea a 300 metri dal Tirreno e sovrastato da monte Cocuzzo, tra i più importanti della catena costiera, non avverti i battiti di alcun cuore. Semmai percepisci segnali di morte. Vedi, semmai, che è tutt’altro che astratta la tesi dell’ambientalista Francesco Bevilacqua, specializzato nella ricerca dei “luoghi perduti”, secondo cui in tante aree della regione è in corso “un coma topografico” che non solo i nomi dei luoghi ha già obnubilato, ma anche le funzioni economiche e sociali, i simboli e le storie. La prova è data dalle atmosfere di sospensione del tempo in cui ci s’immerge salendo fino in cima al triste paese, le cui case diroccate sono aggredite da sterpaglie e dall’inflessibile dio dell’abbandono che, come attestano i segni di ristrutturazioni avviate e interrotte, non è facile ricacciare nell’Ade. Una battaglia per riprendersi le proprie case è ormai persa? E’ tutto perduto qui? Solo Saliceti è la speranza? Un intero agglomerato urbano è preda del degrado. Silenzio perfetto nei vicoli, non si muove umano. E voci che l’orecchio, quando si odono provenire da qualche arrugginito balcone spalancato per una giornata di sole, tenta di afferrare, per convincersi che no, ancora non è il tempo di de profundis, che forse qualcosa è possibile e occorre fare.

LONGOBARDI, LE GESTA DI LIUTPDRANDO E LA STORIA DIMENTICATA Il paesaggio che si ammira dalle terrazze di Longobardi è mozzafiato. Imponenti alcuni palazzi che lasciano immaginare simposi ghiotti di famiglie ricche finite chissà dove, e qualche pensionato che, uscito a rendersi conto degli intrusi, è disposto anche a raccontarti di come la vita, qui, in altre stagioni, era prorompente. E non bisogna per forza riandare alle gesta del re longobardo Liutprando, quando Longobardi era parte del Ducato di Benevento e segnava il confine tra i barbari nella penisola, a cui Manzoni riconobbe il primo tentativo di fare l’Italia, e i possedimenti bizantini della Calabria meridionale. Colpisce, invece, che di quelle storie e di quei tempi non vi sia traccia alcuna, ovunque si giri nel borgo. Sì, forse Tarifi, alla marina, forse una dogana di confine. Ma i barbari dove sono? Possibile che il Regno di Napoli e poi, nel 1861, quello italiano e infine la Repubblica abbiano soppiantato ogni memoria? Così efferati sono stati i Longobardi a Longobardi? Al punto da non pensare neppure di costruirci sopra, come si farebbe in qualsiasi posto un popò di roba con musichette ed esibizioni anche kitch per accalappiare turisti alla marina? L’idea è che sia l’amnesia generata da povertà e fughe, l’artefice di questa omissione storica. Qualcuno ricorda fasti e nefasti precedenti, addirittura i profughi da Thourioi nel 204 a.C. minacciata e poi distrutta da Annibale, ma di barbari neppure l’ombra. “Quando una comunità perde la memoria di sé diventa straniera a se stessa”, scrive Salvatore Settis. E’ quello che è accaduto. Saliceti si stringe nelle spalle. Lui ci prova, la sua parte la fa, ma non basta. Qui, quello che il sindaco di Riace ha magistralmente fatto con i migranti per ripopolare il suo borgo, lo fa Saliceti con la buona cucina. La differenza è che appena giunge l’imbrunire per le vie non c’è anima viva e le poche ombre suscitano raccapriccio e inquietudine.

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