Il dibattito politico – malgrado le importanti elezioni amministrative – è tutto imperniato, da mesi, sulla revisione costituzionale. Ciò in quanto la posta in gioco è divenuta troppo alta. Non perché trattasi della modifica della Carta, regolatrice del funzionamento della Repubblica, bensì perché dal suo risultato dipenderà il futuro di Renzi & Co, per volontà dello stesso premier/segretario del Pd.
Via le Province
In prossimità di un tale appuntamento di alta democrazia diretta, desta meraviglia che il confronto pubblico sia limitato su cosa accadrà del Senato e sui poteri attribuiti all’Esecutivo, in stretta combine con la intervenuta riforma elettorale. Pochi e scadenti sia le riflessioni che gli approfondimenti sulla espulsione delle Province dall’ordinamento, soprattutto in relazione allo sconvolgimento che accadrà in tema di esercizio delle politiche locali. Scompariranno, infatti, i capoluoghi di provincia e tante importanti città dovranno, di conseguenza, giocarsi il ruolo egemone. Una competizione da non poco conto tra le realtà urbane cresciute, nel frattempo, in termini demografici e di importanza strategica. Basti pensare, in Calabria, a Lamezia Terme, Corigliano/Rossano e Gioia Tauro, da tempo a scaldare i motori per misurarsi con le tradizionali città leader.
In tema di riordino del sistema delle autonomie, ci sarà, pertanto, un bel da farsi per le Regioni, a cominciare dalla nostra.
Un modo nuovo di fare le leggi
Il confronto in atto dedica poca attenzione alla riscrittura del Titolo V, Parte II. Quel pezzo di Costituzione già riscritto nel 2001, che ha inguaiato il Paese, immobilizzato da migliaia di contenziosi costituzionali avanti la Consulta per difetto di chiarezza nell’esercitare la legislazione concorrente. Un dato che è diventato più negativo in Calabria, ove i risultati sono da record assoluto, tant’è che delle leggi regionali opposte dal governo oltre l’88% sono state espulse dall’ordinamento. Un dato che dovrebbe portare i calabresi ad andare a votare in massa per il SI, unicamente per recuperare chiarezza legislativa, sperando in proposito che l’attuale Consiglio sappia fare meglio (e non è affatto difficile!) di ciò che hanno fatto i precedenti.
In tal senso, l’abrogazione della potestas legislativa concorrente, sancita dall’art. 117, comma 3, della Carta dovrebbe facilitargli il compito, quantomeno in termini di chiarezza su ciò che si può e si deve fare.
Il cinico gioco delle parti
Nonostante ciò, il silenzio domina irresponsabilmente, malgrado il tema avrebbe suggerito un diverso impegno tecnico della politica, nel senso di chiarire ai cittadini l’importanza del passo in avanti che il testo costituzionale «referendario» meriterebbe. Un onere «pedagogico» cui adempiere sino al giorno del voto, prescindendo dai limiti della proposta. Uno dei quali, avere perso l’occasione di rendere il Paese, finalmente, scevro dalla doppiezza delle Camere e di ridurre di almeno un terzo i componenti il Parlamento più affollato del mondo.
Una ulteriore inadeguatezza è da registrarsi nei confronti dell’antagonismo a sostegno del NO, che vorrebbe mantenere lo status quo e, con questo, condannare all’immobilismo legislativo le Regioni più deboli che – prive di una legislazione efficiente portatrice delle vere riforme – resterebbero sempre ultime nel processo di crescita e dell’occupazione.
La revisione della Costituzione nel merito
Quanto all’aspetto tecnico vero e proprio, intendendo per tale il merito della revisione, nessuno si accinge ad approfondire quello che sarà il novellato esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato, che diventa attrattore di numerose materie indispensabili per il vivere civile. In quanto tale, garante dell’uniformità reale, perché così favorevolmente percepito dalla collettività nazionale, delusa dalle Regioni ed enti intermedi, campioni di inefficienza e di danari buttati al vento.
Lo Stato deciderà, tra l’altro, di energia, di infrastrutture e di trasporti e, finalmente, di coordinamento della finanza pubblica. Quest’ultimo dovrebbe ivi trovare la migliore sede elaborativa in favore delle politiche di finanziamento del sistema autonomistico territoriale. Conseguentemente, la rinnovata legislazione dovrà risolvere i drammi di tante Regioni e Comuni del Sud tormentati sino ad oggi da decisioni frammentarie e contraddittorie, che hanno messo in pericolo i relativi bilanci nonché l’erogazione ai cittadini delle funzioni fondamentali e delle prestazioni essenziali.
Sanità e assistenza sociale
Discorso a parte merita l’assistenza socio-sanitaria. Sulla Salute in senso lato dei cittadini, nella revisionata Costituzione, c’è una novità in assoluto, sulla quale occorrerebbe fare chiarezza, specie per quei cittadini (come i calabresi) che «godono» della peggiore sanità e assistenza sociale del Paese.
Non più principi fondamentali, sui quali poi le Regioni avrebbero dovuto legiferare nel dettaglio, bensì disposizioni generali e comuni (art. 117, lettera m, ultimo periodo).
Vediamo la differenza tra ieri/oggi e domani, sempreché il SÌ consegua il meritato successo referendario. Meglio, cosa cambierà nella sostanza.
I principi fondamentali – stabiliti dallo Stato e sui quali le Regioni (ahinoi!) avrebbero dovuto legiferare (bene) nel dettaglio, previsto dall’attuale legislazione concorrente – non sono altro che riferimenti (molto) teorici, presuntivamente invalicabili, posti a base della legislazione statale, funzionali a segnare il perimetro normativo entro il quale le Regioni avrebbero dovuto esercitare il loro potere legislativo. La teoria è, ancora oggi, la loro peculiarità negativa, tant’è che, nella pratica, sono state le Regioni più deboli (Calabria in primis) a soffrirne in termini di servizi, perché incapaci a migliorarli attraverso leggi ben fatte, perlopiù copiate pedissequamente da altre realtà.
Diversamente le disposizioni generali e comuni, introdotte dalla revisione, sono da intendersi delle regole specifiche, comprensive di valori predeterminati e concreti delle prestazioni da rendere esigibili ovunque. Tutele poste a base dell’ordinamento nazionale, garanti dell’esigibilità dei diritti dei cittadini, da rendere obbligatoriamente comuni in tutti gli ordinamenti regionali. Un modo per ridimensionare, per esempio, in Calabria i 300 milioni di mobilità passiva, regalata in massima parte alla Lombardia, che massacra il bilancio calabrese.
L’esito referendario
A ben vedere, con il successo del SÌ al referendum si registrerebbe la migliore occasione per riassumere le competenze in capo allo Stato, maggiormente garante dell’uguaglianza a tutela della unità, giuridica ed economica, della Repubblica e dell’interesse nazionale. Il tutto senza che venga minimamente violata l’autonomia regionale resa responsabile, per esempio, di potere organizzare sul proprio territorio legislativamente la programmazione e l’organizzazione dei servizi sanitari e sociali.
Insomma, un bel pezzo avanti!
*presidente Comitato per il SÌ di Rende
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