Riceviamo e pubblichiamo
Gentilissimo direttore,
con riferimento all’articolo pubblicato sul Corriere della Calabria del 30 giugno 2016, avente per titolo “Ambiente, il pastrocchio della gara da 67 milioni”, corre l’obbligo di formulare le precisazioni che seguono con preghiera di pubblicazione.
Precisazioni che sono doverose per rispetto nei confronti di quella burocrazia regionale che, in questa occasione, ha dimostrato efficienza e professionalità attraverso un lavoro di equipe, portato avanti per diversi giorni fino alle ore serali, che ha visto coinvolti diversi dipartimenti, i quali hanno saputo concretizzare le indicazioni del governo regionale e dei sindaci ed evitato la perdita del finanziamento assentito con delibera Cipe 79/2012, che deve essere utilizzato entro e non oltre la fine del 2018.
Non si possono insinuare dubbi laddove il rispetto delle norme e gli interessi collettivi della Calabria e dei calabresi – contro ogni resistenza – sono stati assolutamente garantiti, tentando maldestramente di descrivere un comportamento virtuoso – sostenuto dalla Regione e dai Comuni – come inefficiente e dannoso per la collettività.
Entrando in merito ai contenuti, è opportuno specificare, anche se sommariamente:
– circa l’affermazione riguardante la mancata sottoscrizione di un accordo con i Comuni per la realizzazione del nuovo impianto di trattamento rifiuti di Catanzaro e quindi sull’illegittimità della gara bandita il 18 aprile scorso: come è facile verificare dalla documentazione agevolmente reperibile, sono stati proprio i Comuni dell’Ato Catanzaro, con la sottoscrizione della Convenzione di cui alla L.R. n. 14/2014 in data 11 marzo 2016 rep. n. 43, a stabilire, all’art. 12, che solo ad avvenuta operatività delle Comunità d’ambito (ente di governo dell’Ato costituito dall’assemblea dei sindaci), i Comuni sarebbero subentrati, con contratto di comodato d’uso gratuito, negli impianti adeguati (se esistenti) o costruiti ex novo (se di nuova realizzazione) da parte della regione. Il tutto in conformità all’art. 1 della legge regionale n. 18/2013, laddove si affida alla regione lo svolgimento degli interventi necessari a rimuovere la situazione di criticità presente nel sistema dei rifiuti.
Pertanto è palese che, l’avvenuta sottoscrizione della convenzione, contenente la citata previsione dell’art. 12, comporta il superamento della richiesta formulata dal presidente Oliverio con la nota n. 41500 del 10.02.2016, formulata allorquando nessuna Comunità d’ambito era stata ancora costituita.
L’immediata operatività della Comunità dell’Ato Catanzaro (e di tutte le altre), ad oggi ancora non avvenuta nonostante siano trascorsi 8 mesi dalla Dgr n. 381/2015, è anzi auspicata e continuamente sollecitata dalla Regione ed il bando pubblicato (procedura aperta di valenza comunitaria) prevede il pieno rispetto del subentro delle comunità d’ambito. Infatti la gara si limita alla realizzazione dell’opera ed alla sua gestione per un anno, proprio nelle more che la Comunità diventi operativa e possa subentrare nelle competenze oggi ancora in capo alla Regione, previa approvazione del Piano d’ambito e successiva individuazione del soggetto gestore degli impianti, nelle forme consentite dalla legge, in genere per almeno un quindicennio.
Nella ipotesi contraria, qualora non si fosse realizzata una tale responsabile cooperazione istituzionale tra Comuni e Regione, i finanziamenti pubblici, finalmente assentiti attraverso il notevole sforzo di pianificazione e programmazione fatto dalla Regione, sarebbero stati inutilizzati, posto che le risorse della delibera Cipe 79/2012 dovranno essere utilizzate entro e non oltre la fine del 2018.
Disconoscendo tutto ciò si finisce per scambiare comportamenti efficienti ed efficaci con mancanza di attenzione per i processi amministrativi.
In ordine poi alla tariffa, si dimostra assoluta miopia nell’analisi dei dati e della documentazione disponibile che conduce, anche qui, ad una interpretazione pretestuosa scambiando volutamente fischi per fiaschi: l’appalto per il revamping dell’impianto di Catanzaro è una gara complessa, nella quale l’appaltatore dovrà garantire contemporaneamente l’esecuzione dei lavori e il trattamento dei rifiuti in ingresso al fine di non interrompere il servizio pubblico. Addirittura, per un breve periodo, i rifiuti conferiti in impianto, dovranno essere dirottati in altri. La tariffa citata nell’articolo, di 161,24 euro a tonnellata, è quella riconosciuta al gestore limitatamente al tempo necessario all’esecuzione dei lavori necessari alla riconversione dell’impianto in una moderna e innovativa piattaforma di recupero, periodo transitorio caratterizzato da oggettive difficoltà nel dover assicurare sia lo svolgimento dei lavori che la gestione dell’impianto esistente.
La tariffa vera, ossia quella relativa all’entrata in esercizio del nuovo impianto, è pari a 100,38 euro a tonnellate. Essa, al netto del ribasso che sarà conseguito in sede di aggiudicazione, potrà essere presa a riferimento nell’affidamento futuro, a cura della Comunità d’Ambito, fermo restando che l’affidamento al gestore unico di ambito consentirà il conseguimento di economie di scala e di densità che, ovviamente, oggi non possono essere perseguite.
Ma aldilà di tutto non si può infine non fare l’amara constatazione che talune posizioni siano solo strumentali al rallentamento di processi di innovazione e all’attuazione della strategia globale e sistemica che la Regione ha intrapreso nel settore dei rifiuti.
Da una parte si cerca di operare con determinazione per uscire dalla situazione di criticità in cui versa il sistema dei rifiuti, mentre dall’altra, ogni occasione sembra buona per ostacolare i cambiamenti necessari e mantenere lo status quo.
In questo ci è cascato l’onorevole Barbanti, che conosco personalmente e che non ho alcun dubbio circa la sua estraneità a consorterie di interessi vari, sicuramente informato e/o consigliato male, che non è nuovo ad incaute affermazioni contraddittorie:
una prima volta, un paio di mesi fa, in cui dissertava sulla legge regionale n. 14 del 2013 (definendola una leggina) che prevedeva la costituzione delle comunità d’ambito in capo ai Comuni, in aperto contrasto con la legge Del Rio che demandava alle Province specifiche competenze. In pratica disconoscendo le comunità d’ambito;
oggi, in cui rivaluta, invece, il ruolo delle comunità d’ambito in capo ai Comuni;
È lecito chiedersi cui prodest?
Domenico Pallaria
Dirigente generale dipartimento Lavori pubblici
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