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L'incendio divampa, il Pd sta a guardare

A meno di sorprese, sempre possibili, dell’ultima ora, stavolta non dovrebbero esserci sorprese e ripensamenti: domani si riunisce l’assemblea del Partito democratico calabrese. No lo fa da tempo imm…

Pubblicato il: 08/07/2016 – 10:01
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L'incendio divampa, il Pd sta a guardare

A meno di sorprese, sempre possibili, dell’ultima ora, stavolta non dovrebbero esserci sorprese e ripensamenti: domani si riunisce l’assemblea del Partito democratico calabrese. No lo fa da tempo immemore e quando si è riunita ha solo preso per i fondelli chi vi ha partecipato e chi ha dato fiducia alle cose che, in quella sede, si sono dette e ai documenti che sono stati votati e approvati (ovviamente all’unanimità… sic!).
Ci si arriva in ordine sparso e seguendo tre diversi percorsi. Il primo fa riferimento agli “incazzati neri” che pretendono una conta, invocano le dimissioni del segretario regionale Ernesto Magorno e puntano a un distinguo delle responsabilità tra quella ristretta oligarchia che in questi anni ha governato il partito e la Regione, senza dar conto di alcuna delle scelte, spesso dissennate quando non anche contrarie a ogni etica politica, e i peones che prestano la loro faccia pulita a un partito che sa di stantio. Se proprio va fatto qualche nome, viene in mente Marco Ambrogio, Arturo Bova, Vincenzo Pasqua.
Il secondo è il pattuglione dei “moderatamente incazzati”, cerca di assumerne il controllo Gianluca Callipo sul quale ogni marcatura politica è impossibile, visto che sguscia con disinvoltura da una trincea all’altra e sembra più interessato alle sorti personali che a quelle collettive dei nuovi peones. Con lui anche Tonino Scalzo, che scambia la moderazione con l’ignavia, e diversi altri soggetti perennemente in mezzo al guado e per questo destinati a morire di polmonite.
Infine gli scettici che aspettano gli esiti dell’assemblea di domani per prendere una posizione. Probabilmente è proprio questo raggruppamento quello che va temuto maggiormente dagli artisti della conservazione che ormai hanno in Magorno un punto di riferimento certo.
Gli scettici. Schiera lunghissima con le carte in regola e un elenco di fatti concreti da scaraventare sul tavolo. Ci troverete Nicola Irto e Peppe Neri. Brunello Censore e Ferdinando Aiello. Tutta gente che fin qui ha accettato di mordersi la lingua e aderire agli appelli all’unità del partito portando a casa, in cambio, tonnellate di documenti e fiumi di impegni. Puntualmente disattesi.
Magorno, ci dicono, invocherà l’unità del partito in vista del referendum. Come se l’agenda politica calabrese avesse appuntate dentro solo le problematiche nazionali e non dovesse invece misurarsi con una Regione che, dopo due anni dalla “svolta” di centrosinistra, si ritrova ancora a marcare gli indicatori negativi che la mettono in cima alla disoccupazione su scala continentale; in vetta ai rischi di infiltrazione mafiosa nella pubblica amministrazione; al primo posto nel rischio corruzione e, non bastasse, sull’orlo di un disastro contabile per un contenzioso mostruoso che nessuno riesce neanche a quantificare. A tacere del degrado ambientale, cresciuto; del divario nell’assistenza sanitaria, aumentato; dell’emigrazione dei giovani già nella fase post-liceale.
Il Partito democratico in Calabria sostanzialmente non esiste: tre segretari provinciali su cinque sono incompatibili con lo Statuto; la segreteria regionale non è mai stata costituita; sui territori il Pd non è stato presente alle elezioni amministrative e in altri si è presentato spaccato in due. A Filadelfia il Pd ha preso 2.700 voti: esattamente quanti ne ha presi a Cosenza, solo che a Filadelfia i votanti era un decimo di quelli di Cosenza.
Il gruppo regionale del Pd non si è mai riunito per discutere di leggi, iniziative, indirizzi programmatici. La sua ultima riunione risale all’agosto dello scorso anno ed è stata interamente dedicata alla sfiducia mossa al capogruppo Sebi Romeo da Carlo Guccione. Da allora nessuna riunione, nessun confronto, nessun dibattito. Chi ha scelto le cose da fare e quelle da non fare in consiglio regionale ha scelto lontano dalle sedi di partito e di gruppo. Al punto che per le nomine di competenza del consiglio regionale si è fatto ricorso… al sorteggio!
Questi i fatti, il resto è una montagna di chiacchiere, ipocrisie, sofismi.
Renzi avrebbe rinunciato al lanciafiamme? Basta questo a rasserenare la figura di Ernesto Magorno segretario razionale del partito-che-non-c’è?
Si cullassero pure su questa sciocca sicumera. Ma se poco poco cacciano la testa fuori dalle ovattate stanze del potere, scopriranno che in Calabria il lanciafiamme non sarebbe servito: qui divampa l’incendio, servirebbero gli estintori!

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