Una tesi di laurea contro la 'ndrangheta
LAMEZIA TERME Le mafie passano dall’università. A darne notizia però non è il figlio del boss che si laurea in medicina o giurisprudenza o l’affiliato che in carcere decide di ritornare sui libri. Ma…

LAMEZIA TERME Le mafie passano dall’università. A darne notizia però non è il figlio del boss che si laurea in medicina o giurisprudenza o l’affiliato che in carcere decide di ritornare sui libri. Ma stiamo parlando di ben altri ragazzi e di come questi fenomeni criminali vengono studiati e analizzati.
Negli ultimi anni, infatti, corsi di laurea, seminari, incontri e convegni dedicati al tema si sono diffusi negli atenei da Nord a Sud. Un processo lento ma di certo significativo che ha portato al moltiplicarsi di tesi di laurea e lavori di ricerca. E sono altrettanto numerosi i giovani, specie di quelle regioni che qualcuno ama definire a tradizionale insediamento mafioso, che con la voglia di sapere, di cercare, di informarsi e di capire, hanno deciso di dedicarsi a queste nuove frontiere di studio.
Tra di loro c’è anche Laura Mascaro, 27 anni nata e cresciuta in Toscana ma originaria della provincia di Catanzaro, qualche giorno fa è stata insignita del premio nazionale dedicato ad Amato Lamberti, politico e studioso esperto di camorra scomparso nel 2012. Un riconoscimento che per il terzo anno consecutivo viene attribuito alle migliori tesi di laurea sulla criminalità organizzata. E quest’anno è toccato proprio a Laura e al suo lavoro dal titolo “Lamezia Terme e la ‘ndrangheta. Omicidi di mafia e assetti geocriminali (1985-2015)”. Un caso particolare, perché dall’Università di Pisa, ha dato vita a un lavoro inedito sulla città lametina che fino ad ora non ha precedenti.
«Non ho scelto una città qualunque – spiega Laura -. Ho fatto una lista di possibili comuni che avrei potuto approfondire e tra questi Lamezia mi è sembrata un punto cruciale in quanto luogo di un notevole polo industriale e attraversata da arterie stradali e ferroviarie di primaria importanza». Da lì è partita una ricerca accurata e meticolosa attraverso gli atti processuali – dall’indagine Primi passi del ’95/’96 fino alla più recente Andromenda – ricostruendo l’architettura del controllo mafioso e rintracciando i confini dell’ingerenza delle rispettive famiglie, che partono dalla Calabria e giungono non solo nel resto d’Italia ma anche in Europa. Un trentennio in cui la città fu martoriata da tre guerre di mafia e in cui l’area grigia ha contaminato gli spazi del tessuto economico, politico e sociale. Laura scrive di medici, imprenditori e politici che hanno contribuito a legittimare e rafforzare il potere ‘ndranghetista nella piana lametina: «All’inizio avevo solo una vaga idea del lavoro che volevo fare. Poi mi sono resa conto della delicatezza dei fatti, ma anche dell’estrema importanza di farli emergere».
Fondamentale è stata la collaborazione con i poliziotti della squadra mobile di Catanzaro che, attraverso l’autorizzazione da parte del ministero dell’Interno, hanno messo a disposizione competenze e soprattutto informazioni. «Erano entusiasti che qualcuno volesse occuparsi delle ‘ndrine in questo territorio – racconta -. Un’altra fonte importante è stata anche il dottor Fabio Truzzolillo di Lamezia, addottoratosi qualche anno fa nella mia stessa università con una tesi sulla ‘ndrangheta nel periodo fascista».
Laura è partita dalla sua curiosità e dal interesse personale verso l’approfondimento di queste tematiche. Iniziando dai libri dello storico Enzo Ciconte e di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, negli ultimi due anni ha avuto modo di leggere tanto per cercare di capire e di dare risposta a quelle domande che questo campo di studi ha creato. Poi cruciale è stato l’incontro con il suo relatore e i preziosi consigli bibliografici e l’idea di dare vita a qualcosa che non fosse una semplice ricerca. Parla di «alto senso civico» come di un perno fondamentale nel suo lavoro che vorrà continuare ad approfondire con qualche dottorato oppure un master specifico. «Affrontare le tematiche che riguardano la mafia significa aderire alla legalità e opporsi a qualsiasi forma di compromesso. Significa dignità e quindi responsabilità», spiega Laura.
Infine, una doverosa domanda alla giovane vincitrice su quanto l’università possa contribuire al contrasto della lotta al crimine organizzato. Ha le idee chiare sul ruolo che il mondo accademico deve avere, chiamando in causa soprattutto la cittadinanza: «L’università deve fornire ai cittadini gli strumenti adeguati per la comprensione della società, che significherebbe spazzare via falsi miti e semplificazioni di cui spesso il fenomeno mafioso vive e si alimenta. L’università può aiutare a far conoscere ai non addetti ai lavori la parte del mondo criminale che resta spesso celata, la parte sommersa dell’iceberg della delinquenza organizzata, portando un contributo nello squarciare la cappa di omertà che la circonda. L’università non può arroccarsi in se stessa e dialogare con una limitata ed esclusiva cerchia di individui, ma deve aprire le sue porte alla collettività, inserirsi nel dibattito pubblico, coinvolgere la cittadinanza».
Adelia Pantano
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