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L'anima nera di Reggio e l'inchiesta che deve arrivare

Forse per spiegare limiti e lacune, forse per stimolare interessate e interessanti conversazioni. Fatto sta, che Federico Cafiero de Raho è stato chiaro: «questa è solo una porzione investigativa del…

Pubblicato il: 14/07/2016 – 17:19
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Forse per spiegare limiti e lacune, forse per stimolare interessate e interessanti conversazioni. Fatto sta, che Federico Cafiero de Raho è stato chiaro: «questa è solo una porzione investigativa delle attività dell’associazione segreta che per lungo tempo ha governato Reggio Calabria». In sintesi, il bello deve ancora venire. E questo è un bene.
Al pari di altre che l’hanno preceduta, coma Fata Morgana, Sistema Reggio e Il Principe, l’operazione Reghion che ha fatto finire dietro le sbarre il dirigente comunale Marcello Cammera e altre nove persone, accusate a vario titolo di aver aggiustato appalti per favorire la ‘ndrangheta, è solo una parte di un’indagine più grande e completa.
Un dato che non è sfuggito a ai più attenti osservatori, come alla pancia della città. Che parla, mormora, commenta. Che aspetta – pavida – una liberazione che non si sa conquistare. Ma che sa – perché lo vive sulla propria pelle – che da troppi anni la verità storica non si specchia in quella giudiziaria, fino ad oggi rimasta sempre un passo indietro.
Reggio Calabria sa che menti criminali come Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, protagonisti delle inchieste sulle trame più oscure della Repubblica dagli anni Settanta ad oggi, non possono essersi semplicemente occupate di bar e centri commerciali. Sa che le municipalizzate sono sempre state terreno off limits per qualsiasi amministrazione, relegata al rango di silente pagatore di affari decisi da altri. Sa che aziende dai nomi altisonanti come Accion Agua e Fiat Ingest Facility non sono arrivate a Reggio Calabria per caso, ma il loro provvidenziale intervento – sempre con tutte caratteristiche giuste per adempiere alle clausole previste in sostanziosi quanto blindati appalti – deve essere stato richiesto e mediato altrove.
Un territorio di mezzo che puzza di massoneria e mafie – quelle vere – e che negli anni è divenuto il silenzioso protagonista di intrecci e trame maturate a Reggio Calabria. È in quell’altrove che la Lega Nord ha trovato “professionisti senza professione” come il neanche laureato Giovanni Mafrici, in grado di guidare il Carroccio lungo i canali di riciclaggio dei De Stefano. È nel medesimo territorio che si è strutturata la composita rete internazionale pronta ad attivarsi a Montecarlo come a Roma, a Beirut come a Imperia per salvare Amedeo Matacena, condannato definitivamente come referente istituzionale del clan Rosmini e indagato oggi come fondamentale elemento di congiunzione fra ‘ndrangheta e politica.
Due mondi che in quel territorio di mezzo sembrano essere non ospiti, ma residenti, perché legati da una mutua necessità e forse comodi grembiuli, utili a occultare le diverse provenienze e a spiegare casualità e circostanze. Quelle che fanno sì che nel 2004 Matacena sia il candidato preferito di Paolo Romeo per drenare fondi pubblici dal Parlamento Europeo , e nel 2014 il suo imprenditore preferito per i lavori di ristrutturazione del Lido comunale e non solo. Quelle che raccontano le manovre di Romeo per condizionare la politica all’epoca del Decreto Reggio e ripropongono – identiche – le stesse manovre e le stesse entrature negli anni della città metropolitana. Quelle che oggi puzzano di città Stato che subli gli interessi dei clan, come un tempo puzzavano di secessione per «dare alla mafia una nazione» quelle indagate dall’allora procuratore aggiunto di Palermo, Roberto Scarpinato.
Dice una frase spesso attribuita ad Agata Christie che «una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze fanno un indizio, tre coincidenze fanno una prova». E a Reggio Calabria troppe sono le casuali circostanze che hanno fatto emergere sempre gli stessi clan, gli stessi grembiuli, gli stessi nomi, gli stessi metodi, gli stessi pezzi imbastarditi di Stato.
Ecco perché è un bene che la Dda di Reggio Calabria lavori a un’inchiesta che dia un quadro di senso ai tanti chirurgici e sempre puntuali interventi criminali. Di sistemi criminali. Ecco perchè Cafiero de Raho ha dato una buona notizia a Reggio Calabria e non solo.
L’inchiesta annunciata dal procuratore capo significa mantenere una promessa antica fatta alla città dal pm Giuseppe Lombardo, che concludendo la sua requisitoria al processo Meta ha affermato «questa non è meta, ma è metà, perché la ‘ndrangheta non finisce a Giuseppe De Stefano e Pasquale Condello», per procedere poi alla sua dichiarazione di guerra agli invisibili.
«Volete che io mi stupisca – aveva detto a seguire – nel momento in cui riaffermo che la ‘ndrangheta ha la forma dell’acqua? Non mi stupisco, ma mi stupisco invece del fatto che l’acqua prende la forma dei recipienti che la contengono e mi stupisco nel momento in cui non si fa uno sforzo per comprendere chi ha modellato quel recipiente, chi lo ha allargato, chi lo ha reso più capiente, chi spesso e volentieri lo ha trasformato in un vaso enorme». Mani di un demiurgo tanto osceno quanto efficiente cui Reggio Calabria aspetta di dare un volto per conoscere la propria storia, la propria anima, l’origine stessa della propria condanna.

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