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De Raho: «La cattura di Alvaro è un altro gol della squadra-Stato»

VIBO VALENTIA Otto anni di carcere per associazione mafiosa, ricettazione, furto, rapina, truffa, riciclaggio, violazioni della legge sulle armi, favoreggiamento personale e procurata inosservanza de…

Pubblicato il: 21/07/2016 – 14:57
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De Raho: «La cattura di Alvaro è un altro gol della squadra-Stato»

VIBO VALENTIA Otto anni di carcere per associazione mafiosa, ricettazione, furto, rapina, truffa, riciclaggio, violazioni della legge sulle armi, favoreggiamento personale e procurata inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità. È questa la pena che Giuseppe Alvaro dovrà iniziare a scontare non appena i medici dell’ospedale di “Jazzolino” di Vibo Valentia finiranno di rimettergli insieme la caviglia che si è rotto, tentando la fuga.
Incurante della propria mole, “Peppazzo” – così chiamato per la corporatura tutt’altro che esile – quando ha visto i poliziotti fare irruzione nel frantoio in cui si nascondeva, si è lanciato da una finestra, per provare a far perdere le proprie tracce fra i campi di Monterosso Calabro, nelle Preserre vibonesi.
La sua caviglia però lo ha tradito, consegnandolo “in pasto” agli investigatori che si erano già lanciati al suo inseguimento. «Ancora una volta una squadra Stato che riesce ad andare all’attacco e segnare», dice il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, “rubando” la metafora calcistica al Questore Raffaele Grassi, che non più tardi di qualche giorno fa, commentando l’operazione Alchemia, aveva parlato di «un nuovo goal» della «squadra Stato contro la ‘ndrangheta». Una partita lunga decenni, che da tempo vede inquirenti e investigatori reggini attaccare con rinnovato vigore. L’arresto di Alvaro non è che un nuovo punto, conquistato – spiega Cafiero de Raho – più con la forza che con la tecnica. «È stata un’operazione particolarmente significativa – dice il procuratore – ci tengo a sottolineare la capacità investigativa e operativa della Squadra Mobile, laddove l’indagine deve lasciare il posto a qualità fisiche che consentano di raggiungere e trarre in arresto, ecco che i nostri uomini della squadra mobile di Reggio Calabria, sono sempre in grado di operare».
Trentaquattro anni di cui sette passati in latitanza, Giuseppe Alvaro era un punto di riferimento per gli uomini del suo clan. Per conto del padre Carmine, capo riconosciuto del clan, impartiva ai sodali ordini e direttive e organizzava le attività della cosca. Nessuno osava trasgredire i suoi ordini perché riconosciuto come vero e proprio portavoce del boss. A Peppazzo è stato nel tempo delegato il compito di gestire il settore degli affari del clan relativo al riciclaggio di denaro tra la Calabria, Roma, Milano, Torino e i Paesi dell’Europa dell’Est, ma anche i contatti con i clan di Reggio, cui ha personalmente ceduto delle armi.
Lo cercavano dal giorno dell’esecuzione dell’operazione Virus, quando insieme al cugino Paolo Alvaro è riuscito a sottrarsi alla cattura. La fuga non gli ha però evitato di essere condannato in abbreviato a 8 anni e 8 mila euro di multa, tanto in primo come in secondo grado.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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