LAMEZIA TERME Sei ore di sturm und drang, sei ore di battaglia politica all’insegna delle recriminazioni. La parte dell’eroe romantico che sfida il razionalismo di Oliverio stavolta spetta a Enzo Ciconte. È lui a infiammare l’interminabile riunione del gruppo Pd in consiglio regionale. Il suo j’accuse, veicolato su note altissime, muove proprio contro il governatore che, all’indomani dello scoppio di Rimborsopoli, azzerò la giunta di cui il medico catanzarese era il vicepresidente per far posto ai membri di un nuovo esecutivo tecnico. I professori che scalzano i politici. Ciconte, che per molti mesi ha optato per il low profile, adesso libera il demone che ha in corpo. E attacca: Oliverio è un uomo solo al comando e, se continuiamo così, perderemo pure Catanzaro, dopo aver mangiato la polvere a Cosenza e Crotone. Infine, il rospo più grosso: c’è bisogno di chiudere la fase della giunta tecnica per vararne una politica.
Oliverio ascolta, i dem riuniti a Lamezia si aspettano una reazione stentorea che però non arriva. Il governatore non alza le barricate di fronte ai concetti “eversivi” liberati da Ciconte, non chiude alla possibilità di un nuovo rimpasto, dai politici ai professori e ritorno. Piuttosto invita i compagni di partito a «ragionare complessivamente». Il problema, a suo avviso, non è la giunta, né la sua attuale composizione. I guai più grossi arrivano dalla gestione della sanità, dal rapporto con il governo Renzi e dai bisogni (insoddisfatti) dei calabresi. Su questi temi dovrà concentrarsi la riflessione di tutto il Pd regionale. Solo dopo, questo il senso del ragionamento del governatore, si potrà avviare una discussione sulla natura del suo esecutivo.
Ciconte, però, sembra molto più pragmatico di Oliverio: niente rimpasto? Bene, ma allora vanno «messi in discussione» anche il capogruppo del Pd (Sebi Romeo) e i presidenti delle commissioni consiliari. Sottolineatura che ha un’interpretazione precisa: non si possono estromettere da incarichi istituzionali chi, come lui o Guccione, ha ottenuto migliaia di preferenze nelle urne. L’ex vicepresidente scocca poi un’altra freccia, e rinfaccia al governatore la decisione di mettere a capo delle Aziende sanitarie calabresi molti dg già al timone negli anni di Scopelliti. Il governatore ora è piccato: «Non è vero», ribatte. Gli animi sono accesissimi.
Al termine della riunione, Ciconte mostra un maggiore ecumenismo: «La quadra la dobbiamo trovare tutti insieme, dicendo basta alla dicotomia tra partito e Regione», spiega raggiunto al telefono. «Siamo stati sconfitti a Cosenza e Crotone: ora i calabresi vogliono un grande partito e un governo regionale all’altezza, con la politica che si fa portatrice delle istanze dei territori».
«SCURA SE NE VADA» Nella sede regionale del Pd ci sono tutti gli eletti a Palazzo Campanella, c’è il segretario Magorno, non c’è “l’autosospeso” Giuseppe Aieta, in protesta per l’atteggiamento del partito rispetto alla questione sanità e in contrasto con i commissari (nominati da Renzi) Scura e Urbani. Fosse stato presente, il consigliere di Cetraro avrebbe potuto assistere alla nuova sortita del trio Oliverio-Romeo-Magorno che, dopo le precise accuse lanciate durante la Direzione del partito, rinnovano la necessità di «superare questo ufficio commissariale». Il più schietto è, ancora una volta, Magorno: «Siccome non ce ne possiamo andare noi dalla Calabria, se ne devono andare loro» (Scura e Urbani).
GUCCIONE INSISTE Ma Carlo Guccione sa che il nemico non è in un altrove, bensì nell’anima di un partito che, per riprendere una sua recente definizione, «non è mai nato». E quindi «o il partito è una comunità nella quale tutti possono riconoscersi, oppure io farò il battitore libero». Un aut aut che è figlio sia della sua defenestrazione dalla giunta, sia della drammatica esperienza avuta alle elezioni di Cosenza, quando ha accettato di scendere in campo contro Occhiuto a pochi giorni dalla scadenza per la presentazione delle liste, ritrovandosi poi senza un programma e con pochi candidati da schierare. No, Guccione non ha digerito il trattamento che gli è stato riservato. Malgrado tutto continua a sperare che il Pd calabrese «ritrovi lo spirito delle primarie» del 2014, anche per quel che riguarda i suoi rapporti con Roma. Buoni prima, a dir poco complicati ora.
Il dissenso è serpeggiante. Mimmo Bevacqua schiaccia pure lui il tasto del malcontento: «Serve un cambiamento immediato altrimenti, in assenza di risposte, moriremo politicamente». E di risposte non ne dà nemmeno questa riunione, tant’è che i consiglieri regionali decidono di rivedersi il prossimo 2 agosto, sempre a Lamezia, in quella che dovrà essere la continuazione di un confronto che, sperano, da aspro dovrà diventare costruttivo.
ROMEO, IL VOTO E IL FUTURO Come esce il partito dopo questa prima full immersione nelle difficoltà? Innanzitutto con una road map precisa: il raduno di Camigliatello del prossimo weekend, nel quale verrà nominato il nuovo esecutivo regionale, ma anche quello del 2 agosto, che servirà per eleggere l’ufficio di presidenza dei dem in Consiglio e per organizzare un’altra due-giorni allo scopo di approfondire le iniziative portate a termine e quelle da perseguire nel corso dei prossimi tre anni di legislatura. Il gruppo ha poi stabilito che d’ora in avanti si riunirà ogni primo lunedì del mese. È una piccola rivoluzione, considerato che l’ultimo incontro risaliva a un anno fa.
La relazione introduttiva di Romeo, prima che i contrasti (ri)affiorassero, era stata improntata a un realismo ottimista. Certo, l’analisi di un voto amministrativo disastroso («sarebbe da stupidi restare sordi di fronte ai segnali arrivati dall’elettorato»), ma anche la proclamata «sintonia» del Pd con il progetto politico di Oliverio, nel quale rientrano atti importanti come la rotazione dei dirigenti regionali o i nuovi piani sui trasporti e sui rifiuti.
Il presidente del Consiglio Nicola Irto, dal canto suo, ha invece rimarcato la necessità di accelerare sul fronte delle riforme legislative, soprattutto per quel che riguarda norme divenute ormai inattuali. Senza dimenticare i regolamenti delle varie commissioni di Palazzo Campanella, da adeguare alla nuova composizione numerica dei consiglieri, passati da 50 a 30 a inizio legislatura.
Bisogna fare presto, in definitiva, e accontentare un po’ tutti. Una parte del Pd sembra non sopportare più il Pd di Oliverio.
Pietro Bellantoni
p.bellantoni@corrierecal.it
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