Come usare (con intelligenza) i finanziamenti comunitari
Ho letto sul sito del Corriere della Calabria di una interessante dichiarazione del sottosegretario allo Sviluppo Economico, Antonio Gentile, tendente a dare spazio a un novellato sistema imprenditor…

Ho letto sul sito del Corriere della Calabria di una interessante dichiarazione del sottosegretario allo Sviluppo Economico, Antonio Gentile, tendente a dare spazio a un novellato sistema imprenditoriale calabrese attraverso l’attribuzione generalizzata di un vantaggio fiscale. Un incentivo premiante del modo di essere impresa autenticamente produttiva, attenta alla formazione dei conti economici generatrici di interessanti redditività in grado di sopportare investimenti innovativi, funzionali a creare un autentico volano generatore di ricchezza, sviluppo e occupazione.
Un «progetto» serio – del quale ho avuto modo di parlare con qualche deputato calabrese, da sempre attento alla problematica, e di scrivere in proposito su IlSole24Ore (QEELL&PA) nel lontano ottobre 2015 – in relazione al quale occorrerebbe tuttavia effettuare una qualche valutazione comparativa con la disciplina di utilizzo dei Fondi comunitari. Un modo per offrire, in primis alla Calabria, l’occasione di un loro intelligente utilizzo dopo tanti anni di incapacità nell’esercitare la relativa politica di programmazione.
Fondi comunitari e aiuti di Stato
Al riguardo, un problema importante è quello dell’uso “condizionato” dei Fondi strutturali messi a disposizione dall’Ue in favore delle Regioni deboli, quelle comprese in quell’area che soleva definirsi Mezzogiorno. Quei Fondi – prioritariamente finalizzati all’incremento della “capacità istituzionale” fortemente pretesa a livello comunitario – che non sono resi liberamente utilizzabili per determinare vantaggi funzionali al concreto arricchimento del tessuto imprenditoriale, indispensabile per generare crescita reale del Pil e, quindi, per trasformare le aree segnatamente disagiate in aree di benessere sociale. Ciò in quanto ritenuti, comunque, aiuti di Stato, allorquando utilizzati per realizzare condizioni di favore ai soggetti economici interessati a generare una maggiore produttività, tali da incidere negativamente sul regime di libera concorrenza del mercato caratteristico. Una eccezione opposta anche nei confronti delle aree più in ritardo nello sviluppo e con un Pil piatto a tal punto da sottrarre ogni speranza di occupazione ai giovani che da lì partono con la certezza di non tornare. Tutto questo accade anche in presenza di condizioni ambientali rese ad hoc più favorevoli a ospitare insediamenti produttivi e di imprese interessate a eleggere siffatti territori a loro sede produttiva, solo perché vietati (dicunt) dall’ordinamento comunitario.
Deroghe già concesse e opportunità esistenti
Così non è. Non lo è stato e, quindi, non lo è ancora. Ciò perché regolato dallo stesso Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.
L’art. 107 (già art. 87 del TCE) rende, infatti, l’anzidetta facilitazione generalmente ripetibile, così come successo in favore di determinate regioni della Repubblica federale di Germania (comma 2, lettera c), che ha reso compatibili gli aiuti concessi a vantaggio della sua economia e, pertanto, usufruibili da tutte ovvero da talune imprese ivi operanti. Più precisamente, al successivo comma 3, lettera a), abilita l’intervento comunitario, nel senso di renderlo libero e, quindi, non negativamente condizionato, se finalizzato a favorire – comunque – lo sviluppo delle regioni «ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione».
A ben vedere, un ritratto fedele delle regioni del sud del Paese, lasciate lì a retrocedere – ove fosse ancora possibile – in tema di vivibilità sociale e di disoccupazione, solo perché non riconosciute sino a oggi così bisognose come lo erano le regioni tedesche dell’est annesse alla Germania dell’ovest. Un intervento allora preteso, con forza, dalla Merkel che, proprio in virtù di siffatte facilitazioni, ha avuto modo di generare quel paese che sbaraglia oggi tutti gli altri in termini di produttività e concorrenza e, dunque, di capacità occupazionale. Quest’ultima è divenuta, anche grazie agli aiuti di Stato goduti dal suo sistema imprenditoriale, così alta da richiedere una rilevante importazione di mano d’opera, meglio se a costo favorevole, così come assicurato dagli immigrati per guerra o per bisogno vitale.
Il principio dell’eguaglianza e l’assenso comunitario
Un intervento rivendicabile in favore delle regioni comunitarie che vivono le medesime condizioni sfavorevoli di allora, a partire dalla Grecia sino ad arrivare al nostro sud, godibili da «talune imprese o da talune produzioni» ivi operanti.
A proposito di rilancio dello sviluppo, si stanno scaldando i motori dell’attuazione del masterplan per il rilancio Mezzogiorno, negoziato tra Governo e Regioni del sud. Da far divenire parte integrante e sostanziale della prossima legge che non sarà più di stabilità bensì di bilancio unificato. Un appuntamento vitale per tutto il Paese, tanto da dovere essere assistito da una forte istanza nei confronti dell’Ue, tale da consentire i migliori insediamenti produttivi nella zone scelte liberamente dai soggetti produttori, incentivati dall’altrove prevista fiscalità e la contribuzione di vantaggio.
*avvocato e dottore di ricerca Unical