Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 9:54
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 2 minuti
Cambia colore:
 

Condannato a 15 anni l'ex vicepresidente della Reggina calcio

REGGIO CALABRIA Quindici anni di carcere per l’ex vicepresidente della Reggina Calcio Gianni Remo e per il fratello Pasquale, 22 per il boss Michele Labate. Così ha deciso il tribunale di Reggio Cala…

Pubblicato il: 30/09/2016 – 17:21
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
Condannato a 15 anni l'ex vicepresidente della Reggina calcio

REGGIO CALABRIA Quindici anni di carcere per l’ex vicepresidente della Reggina Calcio Gianni Remo e per il fratello Pasquale, 22 per il boss Michele Labate. Così ha deciso il tribunale di Reggio Calabria, accogliendo le richieste del pm Stefano Musolino che per tutti aveva invocato condanne pesantissime. Unica assolta la moglie dell’ex vicepresidente amaranto, Maria Romeo.
L’ex dirigente degli amaranto è finito alla sbarra per estorsione aggravata dal metodo mafioso al fratello Pasquale e a Michele Labate, considerato uno dei massimi esponenti dell’omonimo clan, “padrone” del quartiere Gebbione, nella periferia sud di Reggio Calabria. Per i magistrati, Remo – che alla “passione” per lo sport, unisce una consolidata attività nel settore della macellazione della carne – avrebbe tentato di sfruttare legame con il cognato Michele Labate, per strappare allo zio Umberto Remo – attivo nel medesimo settore – clientela e attività commerciali. Ma l’anziano parente dei fratelli Remo non sarebbe stato l’unica vittima dei “famelici appetiti” del clan Labate, che avrebbe imposto il controllo criminale dei quartieri Sbarre e Gebbione di Reggio Calabria, acquisendo, direttamente o indirettamente, la gestione o comunque il controllo di beni e attività commerciali nel settore della macellazione e della vendita, all’ingrosso e al dettaglio, di carni.
Circostanze emerse anche dalle intercettazioni disposte per la cattura di Michele Labate, all’epoca latitante, come dai dialoghi intercorsi tra Umberto Remo e le figlie. È infatti dalla viva voce dell’anziano imprenditore che gli investigatori avrebbero appreso delle “pressioni” ricevute dai suoi stessi nipoti, che non solo gli avrebbero sottratto la clientela a suon di minacce, indirizzandola – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – verso le imprese “riferibili alla comune cosca di ndrangheta” ma lo avrebbero anche messo in ginocchio con un prestito di 460mila euro, di cui avrebbero preteso la restituzione – si legge nelle carte «non solo con il pagamento di somme di denaro (in misura prossima ai 400mila euro), ma anche con la cessione dell’immobile descritto in imputazione, per un prezzo del tutto incongruo rispetto al valore reale del bene».

a.c.

Argomenti
Categorie collegate

x

x