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Una fattoria e due statue del Seicento: l'infinito tesoro di Campolo – LE FOTO

REGGIO CALABRIA C’è un nuovo tassello – di pregio – che si aggiunge allo sterminato patrimonio Campolo. Si tratta di due statue di fine Seicento e un gruppo marmoreo dello stesso periodo che qualch…

Pubblicato il: 05/10/2016 – 8:56
Una fattoria e due statue del Seicento: l'infinito tesoro di Campolo – LE FOTO

REGGIO CALABRIA C’è un nuovo tassello – di pregio – che si aggiunge allo sterminato patrimonio Campolo. Si tratta di due statue di fine Seicento e un gruppo marmoreo dello stesso periodo che qualche chiesa forse rimpiange. Smontati e conservati in anonime casse di legno, prendevano polvere in una stanza segreta, nascosta all’interno di uno dei tanti magazzini del re dei videopoker. Messe in sicurezza e sequestrate in tempi record su richiesta della sezione Misure di prevenzione della Dda e per ordine del Tribunale, le nuove preziose statue non fanno che confermare quello che amministratori giudiziari, magistrati e investigatori hanno intuito da tempo: l’impero di Gioacchino Campolo riserva ancora sorprese.

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(Le due statue del Seicento ritrovate dagli investigatori)

Del resto, quando da re dei videopoker riciclava milioni per i più potenti clan di Reggio Calabria, la sua brama di cose e potere non conosceva né limiti né confini geografici. Ma oggi l’uomo che si presentava alle aste giudiziarie con valigette piene di miliardi cash e acquistava immobili come se fossero scatolette al supermercato, mentre nella scrivania di casa conservava 200mila euro «per le piccole spese» non esiste più.
Causa Dda, il monarca che per anni ha regnato indisturbato su ludopatie e operazioni di riciclaggio a Reggio e provincia, oggi colleziona processi, condanne e confische come un tempo accumulava immobili e tele d’autore, ma il suo patrimonio è ancora in parte da esplorare. Da accumulatore seriale di cose, incapace di cestinare persino le vecchie chiavi dei suoi 260 immobili cui cambiava regolarmente le serrature, neanche lui sembra ricordare tutto quello che nel tempo ha acquistato.
Per questo il re dei videopoker ha risposto facendo spallucce quando gli amministratori giudiziari gli hanno chiesto conto dei diciassette quadri d’autore trovati qualche mese fa attaccati alle pareti di uno dei pied à terre (da oltre 100mq) comprati nella Capitale. Non se li ricordava, dice. Stessa cosa per le ottantasette riproduzioni fotografiche di gran pregio dei bozzetti originali di Modigliani, trovate abbandonate su una scrivania. Ma Campolo non sa e non ricorda neanche dove e quando abbia acquistato le due statue di fine Seicento e il fonte battesimale con tanto di putti alati e tabernacolo, trovate sepolte in uno dei suoi tanti magazzini.

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(Il fonte battesimale)

Gli amministratori giudiziari ormai lo sanno. L’impero Campolo è tuttora una fucina di ritrovamenti incredibili, dal Dalì appeso in cucina, ai Guttuso e Fontana accatastati dietro le porte. Scavando nei magazzini del re dei videopoker hanno trovato persino un motoscafo, sepolto sotto un cimitero di carcasse di vecchi videogiochi in compagnia di una vecchia berlina, mentre in un altro capannone, c’era un’intera macelleria clandestina. Presumibilmente, serviva a trattare la carne proveniente dalla fattoria poco fuori Reggio Calabria in cui Campolo allevava conigli, tacchini, quaglie, mucche, capre, montoni, galline e preziosi suini neri. «Sono per autoconsumo» ha dichiarato quando, esterrefatti, i finanzieri gli hanno chiesto se fosse roba sua. Di trovare tre manufatti di fine Seicento, abbandonati come mobili vecchi, però non se lo aspettava nessuno.
I più credevano che l’impensabile passione del re dei videopoker per l’arte si esaurisse nella collezione di quadri da museo, incastonata in supporti e cornici grondanti oro e arabeschi, oggi ha trovato casa nel palazzo della Cultura di Reggio Calabria. Ma si sbagliavano.

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(Una delle casseforti sequestrate al re dei videopoker)

Occultate in una stanza segreta all’interno di uno dei tanti immobili dell’impero del re dei videopoker, le due statue e il gruppo marmoreo (che forse qualche chiesa rimpiange) erano state smontate e conservate dentro anonime casse di legno. Due finestre impolverate, che facevano bella mostra di sé sulla facciata ma invisibili all’interno del locale, hanno fatto capire agli amministratori che c’era un’altra stanza da cercare. È bastato spostare un armadio, scavare un po’ fra scatoloni, casse e materiale vario affastellato alla rinfusa e nuove opere d’arte hanno fatto capolino dalla spazzatura.
Per la Soprintendenza, potrebbero valere circa 150mila euro, ma analisi e valutazioni sono ancora in corso e qualora ne fosse accertato il valore storico-artistico, diventerebbero patrimonio inestimabile. Stime che non hanno rallentato il processo di messa in sicurezza e sequestro delle opere. Quale che sia la loro provenienza, dicono i magistrati, sono state acquistate con denaro proveniente da attività illecita e vanno sequestrate e confiscate.
La “squadra” che ha operato è sempre la stessa. Finanzieri del Gico e Carabinieri del Nucleo Tutela beni culturali ad occuparsi delle indagini, sezione Misure di prevenzione della Procura, coordinata dal procuratore aggiunto Gaetano Paci a disporre in tempi rapidissimi un provvedimento, analoga sezione del Tribunale ad ordinarne l’esecuzione. Un pool grazie al quale i 125 quadri del patrimonio Campolo – incluse le croste che si è fatto affibbiare – sono diventate patrimonio della collettività, al pari della villa romana che secondo la leggenda ha ospitato la banda della Magliana e oggi è sede di un albergo di lusso con annesso bistrot, come di locali e magazzini, diventati una sartoria che dà lavoro a donne disagiate, sedi di onlus, centri culturali, archivi della procura e sedi per il Tribunale di sorveglianza. Altri immobili invece sono stati affittati e portano allo Stato centinaia di migliaia di euro l’anno, mentre veicoli e mezzi sono stati distribuiti fra le forze dell’Ordine dell’intera provincia. L’unica cosa che è stata distrutta sono le migliaia di slot machine, videopoker, videogiochi con cui l’anziano monarca dava formale giustificazione al proprio impero. Da quelle macerie è nata la seconda vita del patrimonio Campolo, tornato in mano alla città e divenuto per Reggio un manifesto di riscatto.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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