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MINACCE ALLA PM | L'Anm: «Vicini a Manzini»

Dalla presidente della sezione di Catanzaro dell’Associazione nazionale magistrati riceviamo il comunicato che la stessa ha emesso per dare solidarietà al procuratore aggiunto Marisa Manzini e una re…

Pubblicato il: 13/10/2016 – 16:17
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MINACCE ALLA PM | L'Anm: «Vicini a Manzini»

Dalla presidente della sezione di Catanzaro dell’Associazione nazionale magistrati riceviamo il comunicato che la stessa ha emesso per dare solidarietà al procuratore aggiunto Marisa Manzini e una replica al servizio nel quale si sottolineava che tutti dormono mentre il boss Mancuso lancia insulti e minacce al pubblico ministero in pubblica udienza. Riportiamo integralmente sia il comunicato che la replica, partendo da quest’ultima.



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Rispetto all’articolo pubblicato mi limiterei a replicare che le minacce e l’aggressività verbale del boss Mancuso verso la collega Marisa Manzini nel corso della udienza celebrata dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia meritano due diversi livelli di lettura.
Sul piano particolare è evidente che ciascuno si assume le responsabilità dei proprie azioni e delle proprie dichiarazioni, esistendo una regola processuale che impone a chiunque rispetto dei diritti e dei ruoli altrui in udienza, e in primo luogo della Pubblica Autorità che il pm rappresenta. La condotta del Mancuso sarà quindi valutata nelle sedi proprie e non è compito né dall’Anm né del ministro della Giustizia né del Csm interferire sull’andamento del dibattimento e sulle valutazioni endo-processuali.
Sul piano generale invece, da tempo l’Anm denuncia come la vera crisi di categoria sia costituita da un progressivo peggioramento delle condizione professionale determinato da un incessante, e non casuale, innalzamento del regime dei controlli e delle responsabilità (interni ed esterni alla magistratura) cui non fa da giusto contrappeso un aumento delle tutele, anche sul piano della sicurezza individuale.
La scelta di vita (prima ancora che professionale) di chi decide di entrare in Magistratura rischia di diventare quindi sempre meno appetibile, con conseguente pericolo di un calo di “vocazioni”, tale intendendo molti di noi l’onere dell’esercizio della Funzione Giurisdizionale, soprattutto in territori ad alta, e talora insospettabile, infiltrazione mafiosa.
Non spariamo nel mucchio dei “dormienti” quindi. Le generalizzazioni nuocciono alla comprensione dei problemi. Ed anche alla loro soluzione.

dottoressa Letizia Benigno

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Questo invece il testo del documento di solidarietà della Giunta distrettuale.
Esprimiamo solidale vicinanza alla collega Marisa Manzini, Pubblico Ministro di processo in corso per associazione mafiosa e altro presso il Tribunale di Vibo Valentia, raggiunta da invettive e minacce nel corso di dichiarazioni spontanee rese in video-conferenza da imputato capo-clan detenuto.
Episodi del genere, oltre a dimostrare quanto sia difficile, in certi contesti, rappresentare l’accusa e nel contempo condurre serenamente il dibattimento, concretizzano il disagio della magistratura associata di fronte a situazioni ricorrenti di sovra-esposizione individuale che generano attacchi personalistici non adeguatamente contro-bilanciati da misure di protezione articolate e di sistema.

La Giunta Esecutiva Sezionale di Catanzaro

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Senza alcun intento polemico, vorremmo osservare che in tema di lotta alla ‘ndrangheta assumono particolare valenza anche le circostanze di tempo e luogo dove i fatti si consumano.
Se insulti, minacce e intimazioni a “fare silenzio” fossero giunte alla dottoressa Marisa Manzini con telefonata anonima o in mezzo alla strada ovvero con una lettera minatoria, nulla questio. Invece il tutto è avvenuto in un’aula di tribunale e nel bel mezzo di una udienza pubblica. Non è la stessa cosa. Non lo è, soprattutto, per un cittadino che sapendo di un boss che impunemente oltraggia e minaccia testimoni e magistrati trarrebbe la conclusione che neanche davanti a un Tribunale i boss rinunciano all’esibire la loro protervia e che nessuno interviene per impedirla o bloccarla.
E non si tratta di voler interferire “sull’andamento del procedimento”, questo semmai è quel che ha liberamente fatto il boss Pantaleone “Luni” Mancuso. Si tratta, al contrario di pretendere che le regole che governano un dibattimento vengano rispettate e fatte rispettare da chi ha il dovere e il potere di farlo. Del resto, il fatto che il ministro della Giustizia abbia considerato la cosa talmente grave da farla diventare oggetto di attività ispettiva ci conferma che l’indipendenza del magistrato nella conduzione del dibattimento non significa dover accettare l’esibizione di un boss e assistere inerti alle sue minacce, ai suoi insulti, ai suoi pesanti tentativi di condizionare, appunto, un dibattimento che si svolge per amministrare giustizia “in nome del popolo italiano”. (Pa.Po.)

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