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I clan e gli appalti “facili” a Villa San Giovanni
REGGIO CALABRIA Città termometro degli equilibri fra clan, terra di conflitti e cartina tornasole di pacificazioni, Villa San Giovanni per anni è stata lo storico cortile di casa degli arcoti, affida…
Pubblicato il: 16/11/2016 – 20:07
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REGGIO CALABRIA Città termometro degli equilibri fra clan, terra di conflitti e cartina tornasole di pacificazioni, Villa San Giovanni per anni è stata lo storico cortile di casa degli arcoti, affidato agli Zito-Bertuca per i De Stefano e ai Buda Imerti per i Condello. Ma neanche per loro le cosche villesi sono state clienti facili. A raccontarlo è il provvedimento di fermo che ieri ha fatto finire in manette 26 persone, tutte indagate nell’inchiesta Sansone, la prima nella storia recente che abbia affrontato il panorama criminale di Villa San Giovanni.
PASSAPORTO ECCELLENTE In manette sono finiti capi, reggenti e gregari dei clan Zito-Bertuca, Condello, Garonfalo, ma anche un noto imprenditore, Pasquale Calabrese, conosciuto come grande mattatore di appalti pubblici. Eppure il dato più interessante che emerge dalle carte è quello che l’inchiesta non racconta (ancora), ma lascia solo intuire. A partire dall’omicidio eccellente che i clan di Villa hanno tollerato sul proprio territorio e probabilmente è divenuto pietra angolare del proprio peso criminale. «Sul territorio della provincia di Reggio Calabria – ha affermato il procuratore capo della Dda, Federico Cafiero de Raho – continuano a manifestarsi gli effetti nefasti di quella pax mafiosa probabilmente sottoscritta con l’estremo sacrificio del sostituto procuratore generale della Cassazione, Antonino Scopelliti, i cui assassini sono ancora senza nome».
FASCICOLO APERTO Da quando, nell’agosto del ’91, il giudice Nino Scopelliti è stato freddato in un agguato a Piale, le ‘ndrine di Villa – emerge dall’indagine – sono diventate un interlocutore necessario per il direttorio di clan, nato dalla pax che proprio quell’omicidio eccellente ha saldato. A raccontarlo sono stati nel tempo diversi collaboratori, le cui dichiarazioni sono andate ad ingrossare un fascicolo che la Dda non ha mai chiuso. E che oggi – sembra suggerire il procuratore – potrebbe essere vicino ad una svolta. «La mia esperienza, però, mi induce ad affermare – ha sottolineato Cafiero de Raho – che, grazie all’impegno della magistratura e delle forze dell’ordine di Reggio Calabria, quell’omicidio arriverà ad essere acclarato in ogni sua parte di responsabilità».
ESTORSIONI A TAPPETO Gli effetti su Villa San Giovanni sono chiari da tempo e si traducono in un’asfissiante, capillare, controllo del tessuto economico e sociale. Una coabitazione complicata anche dal carattere del boss Pasquale Bertuca, da sempre convinto dell’egemonia della propria famiglia su Villa. Una posizione riconosciuta a tutto il suo clan fino al suo arresto, quindi insidiata dall’intraprendenza delle giovanissime leve del clan Condello e dei loro emissari, che più volte – e non senza frizioni – sono andati a “disturbare” imprenditori già preda degli Zito-Bertuca.
COESISTENZA OBBLIGATA Costretti a coabitare nel medesimo territorio e a fare essenzialmente da spettatori ai business di maggiore portata come la Perla dello Stretto, appannaggio dei clan di Archi, le ‘ndrine di Villa hanno battuto a tappeto la città, secondo il principio «non lasciare scampo a nessuno». Ecco perché, nella città divenuta porta da e per la Sicilia, pagavano tutti. Anche quegli imprenditori che altre inchieste hanno rivelato vicini o organici ad altri o al medesimo clan.
VITTIME A VILLA, CARNEFICI ALTROVE È il caso, ad esempio, di Franco Siclari, inquadrato dall’indagine Fata Morgana come imprenditore organico agli Zito-Bertuca, ma ugualmente costretto a pagare dal suo stesso clan. O di Antonio Scopelliti, che quando era titolare della As Costruzioni ha quasi rischiato di perdere il sostanzioso appalto per la ristrutturazione del Pronto Soccorso a causa di un’interdittiva antimafia, disinnescata con un rapido passaggio di quote al figlio ventenne. A causare guai a Scopelliti in passato era stata la vicinanza a Roberto Morgante, indagato nel procedimento Meta. E proprio quest’ultimo – svela l’indagine Sansone – per ordine del boss viene contattato quando Scopelliti si rifiuta di cedere alle richieste del clan.
PARENTI SERPENTI Neanche la parentela aiuta. Lo ha capito l’imprenditore Saverio Viglianisi, cugino di Domenico Viglianisi, affiliato di rango agli Zito Bertuca, non solo costretto a pagare oltre 9mila euro di tassa di sicurezza, ma finito anche nel mirino del clan perché l’intera mazzetta era stata “trattenuta” dal fratello del boss Vincenzo Bertuca e presumibilmente dissipata nel gioco.
UN FAVORE IN COMUNE A Villa c’era un regime. E i suoi tentacoli sembrano lambire anche l’amministrazione. Sebbene non ci siano contestazioni specifiche che riguardino politici o dirigenti e funzionari comunali, le carte d’indagine sembrano mostrare una certa prossimità fra il clan Zito-Bertuca e l’amministrazione. Il “diacono” Vincenzo Cristiano, affiliato di rango al clan Bertuca – racconta, intercettata, la sorella Felicia al boss in carcere – ha portato a casa «un pensiero» che al capoclan dietro le sbarre ci teneva a far avere «un amico… che gli avevi fatto un favore tu». Il boss non riesce a capire di chi si tratti e Felicia Bertuca è costretta a scoprire le carte «un coso del Comune, una licenza». Come, non è dato sapere. Tanto meno come mai un boss potesse disporre a piacimento degli uffici tecnici del Comune. Di certo – e di questo sì c’è traccia nelle carte d’indagine, come nelle cronache – l’ex amministrazione di Villa non era usa andare troppo per il sottile quando qualcuno chiedeva concessioni e autorizzazioni.
SOSPENSIONE Non più tardi di una settimana fa, l’ex sindaco Rocco La Valle, il suo vicesindaco (alle ultime elezioni diventato primo cittadino) Rocco Messina, e altri assessori sono stati condannati per aver concesso autorizzazioni a lidi e stabilimenti costruiti su terreno demaniale. Circostanze che hanno indotto il prefetto Michele di Bari a sospendere l’attuale sindaco, che tuttavia sembra avere ulteriori ragioni di preoccuparsi.
BUROCRAZIA COMPIACENTE Nel maggio scorso, il giorno dell’esecuzione dell’operazione Fata Morgana, i carabinieri si sono presentati nel suo ufficio con un decreto di perquisizione e contestuale avviso di garanzia per corruzione aggravata dall’aver favorito la ‘ndrangheta. Per gli inquirenti, i due «si sono attivati al fine di agevolare l’apertura del centro commerciale della “Perla dello Stretto”, nell’ambito delle attività di autorizzazione proprie del Comune, in cambio di svariate utilità, tra cui quelle connesse all’accrescimento del bacino elettorale del sindaco». Traduzione, se i clan, rappresentati dall’avvocato Romeo, non hanno trovato alcun ostacolo nel rilanciare il centro commerciale in cui si erano infiltrati, è stato anche grazie all’inesistente resistenza incontrata nelle istituzioni locali.
APPALTI FACILI Una nonchalance che Messina sembra aver dimostrato anche nell’affidamento degli appalti. Intercettato dagli investigatori, Messina chiacchiera amabilmente con Bruno Genoese ufficialmente dipendente della società Mts, ma che la gestisce come un padrone. A lui, l’attuale sindaco (sospeso) di Villa San Giovanni dà l’incarico di procedere con la raccolta rifiuti nelle strade cittadine, senza che gare o procedure di evidenza pubblica legittimassero tale decisione. Una leggerezza – ulteriore – che potrebbe costare cara al primo cittadino.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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