Formazione, la vergogna di un’indagine datata nel tempo
Egr. direttore, leggo con molto stupore il contenuto dell’articolo pubblicato nel pomeriggio di venerdi 02 dicembre a firma della giornalista Alessia Truzzolillo dal titolo “Maxi truffa alla formazio…
Egr. direttore,
leggo con molto stupore il contenuto dell’articolo pubblicato nel pomeriggio di venerdi 02 dicembre a firma della giornalista Alessia Truzzolillo dal titolo “Maxi truffa alla formazione, prescritto il 90% dei reati” e ritengo doveroso intervenire per puntualizzare alcuni aspetti della vicenda , e non per essere uno degli avvocati del collegio difensivo , quanto perché al dovere d’ informazione – presupposto della libertà di stampa – corrisponde in maniera speculare il diritto dei cittadini a ricevere una sana e corretta “notizia”.
Non Le nascondo, poi, che la sorpresa è ancor più grande avendoLa sempre annoverata tra i pochi “coraggiosi” che in più occasioni non si sono piegati alle mode forcaiole divulgando notizie nella direzione di assecondare gli umori dei palazzi e delle procure anzi, spesso, in contro tendenza a quella dannosa corrente populista-giustizialista, cancro di una democrazia e tomba della libertà di pensiero che, nell’esporre la propria opinione ha anticipato situazioni acclarate col tempo.
Vengo al punto:
– quanto leggo è assolutamente fuorviante per chi non ha conoscenza diretta dei fatti e degli atti giacchè
1) l’impostazione data dalla sua collega (che, ritengo non abbia direttamente seguito personalmente l’udienza gup) lascia intendere una soluzione “scappatoia” fortunatamente capitata agli imputati che arrivano, dopo ben 12 anni dall’inizio delle indagini, ad una definizione di comodo che li dispensa dall’affrontare il merito delle questioni.
Ma così non è stato perché giorno 02 dicembre tutte le difese degli imputati hanno affrontato specificatamente le questioni di merito, dato ampia prova della fragilità del teorema accusatorio partito dall’allora pm De Magistris, denunciato la vergogna di un’indagine datata nel tempo (tra l’altro con problemi procedurali notevoli visto che il Tribunale di Catanzaro non era competente per territorio e l’allora gup dott.ssa De Girolamo nel 2014 ne ha pronunciato l’incompetenza a favore del Tribunale di Paola) senza che nessun investigatore si sia preoccupato in oltre un decennio di verificare gli elementi più elementari a sostegno dell’accusa. Attività svolta, fortunatamente, dai difensori che hanno così avuto modo di dimostrare davanti ad un gup sereno ed attento concentrato a svolgere pienamente la funzione filtro che l’ordinamento gli attribuisce in ossequio alle garanzie del nostro ordinamento, è emerso:
2) che parte degli imputati all’epoca dei fatti non avevano più ruoli a nessun titolo nelle associazioni e/o enti né rapporti con gli altri indagati;
3) la totale estraneità di alcuni di essi ai fatti contestati come, ad esempio, la circostanza richiamata dal Suo giornale circa la presunta esistenza di un rapporto consulenziale tra l’allora Assessore alla Cultura On.le Zavettieri ed il Prof. M. Vadacchino , documentalmente smentita da una certificazione della Regione Calabria (attuale legislatura!) che ne attesta l’inesistenza;
4) potrei puntualmente continuare così per ogni capo della rubrica ma i processi si fanno nelle aule dei Tribunali e la presenza dei cronisti dovrebbe servire a veicolare spunti per una riflessione ed un dibattito su temi che sembrano di “altri” fino a che non ne siamo direttamente coinvolti.
Una divulgazione nella maniera più giusta sarebbe stata quella di denunciare il fallimento di un sistema nel quale i più deboli, i giusti, gli onesti continuano a subire impotenti gli effetti di condotte ancora oggi insindacabili. Si è evidenziato, nell’Aula “F” l’assurdità di una indagine così risalente nel tempo riconducibile al pm De Magistris (che avrebbe dovuto immediatamente rimettere le carte alla Procura di Paola territorialmente competente) e, aggiungo ora, nata nel momento della sua massima popolarità mediatica per la contrapposizione dei ruoli all’interno degli Uffici di Catanzaro, che ha fornito un’immagine pessima della Procura a livello nazionale ma fortuito trampolino di lancio per carriere politiche.
Il tempo (troppo lungo purtroppo) ha demolito tutti quei teoremi inconsistenti e ciò ai cittadini, dai nostri rispettivi ruoli, si ha il dovere di spiegarlo a prescindere dalla decisione che il gup andrà ad assumere il prossimo 21 dicembre. L’Avvocatura, come il Giornalismo, assolvendo anche ad una funzione sociale non dovrebbero mai abdicare ad un ruolo così privilegiato non tralasciando nessuna occasione per denunciare, dibattere, confrontarsi assumendo posizioni apparentemente meno popolari ed in controtendenza piuttosto che percorrere l’autostrada del giustizialismo populista.
Mi sarei augurata partisse dal Suo giornale per il ricordo del Suo modo di fare giornalismo un “La” interrogativo e provocatorio sui motivi per i quali dopo ben 11 anni una Procura (anzi due) non hanno inteso accertare nulla di ciò che poteva essere chiarito dalla semplice acquisizione (o anche lettura) di documentazione in possesso delle Amministrazioni (Miur e Regione Calabria), e scoprire a chi ed a cosa è giovato portare avanti un altro carrozzone con costi elevati per lo Stato ma purtroppo ancor più alti e non risarcibili (neppure dall’inevitabile ricorso alla Legge Pinto) per gli imputati che per oltre un decennio e spesso ad orologeria hanno visto sempre in concomitanza con scadenze elettorali il proprio nome su una locandina di un edicolante inserito in un titolo secco che nell’immaginario di chi ha letto superficialmente equivaleva ad una dichiarazione di colpevolezza. Mi sarei ancora aspettata, ove la cronista fosse stata presente, che non fosse trascurata la sconcertante dichiarazione del pm d’udienza che, con la naturalezza di chi da tutto per scontato, dopo aver precisato di aver letto le carte solo “il giorno prima” (parliamo di decine di faldoni per diverse migliaia di pagine) ha concluso ritenendo necessario…..”…per la complessità delle questioni….rimettere al Tribunale ogni opportuno approfondimento”. Eh no! Non è questo il principio che sorregge il processo penale. E’ in sede di indagini ( e di tempo la Procura ne ha avuto) che si approfondiscono le questioni, si effettuano i riscontri, si valuta la documentazione e si acquisisce ogni fonte di prova idonea allo scopo soprattutto quelle a discarico. Una richiesta di rinvio a giudizio (peraltro di due capi A ed I pure prescritti secondo le tesi difensive) presupporrebbe ben altro che non un modesto inciso laconico per traslare ad altro Ufficio la responsabilità di decisioni che l’autorevolezza delle distinte funzioni imporrebbe esercitarsi a monte.
Una riflessione da questi spunti, egregio direttore, avrebbe si aperto un dibattito costruttivo sulla crisi della giustizia anche se solo in riferimento ad alcuni aspetti sollevando questioni costantemente enunciate in astratto ma mai affrontate di fronte al caso concreto; l’occasione sarebbe servita da monito a chi, soprattutto nel Suo ambiente, anticipando sentenze di colpevolezza fuori dalle aule dei tribunali finisce solo col ricomprendere il proprio operato nell’attività di un giornalismo spazzatura che troppo spesso ed irrimediabilmente ha rovinato tante vite ma costruito la fortuna della propria.
Sono certa che darà a questa mia riflessione lo spazio adeguato e non certo per “diritto di replica” quanto perché credo che la cultura della ricerca della verità Le appartenga .
Cordialmente
Avv. Maria Teresa Laurito
Gentile avvocato,
il suo lungo intervento fa una dettagliata cronaca di quella che è stata l’udienza davanti al gup dello scorso due dicembre, alla quale noi giornalisti, visti i dettami del rito, non possiamo partecipare. Le notizie de relato che abbiamo appreso dai suoi colleghi – più di un avvocato presente per essere precisi – non vengono smentite, nella sostanza, da quello che lei, anzi, ribadisce in diversi passaggi: a 12 anni dall’inizio delle indagini il procedimento si trova ancora in fase di udienza preliminare e con due capi d’imputazione rimasti
in piedi. E la colpa non può certo essere del collegio difensivo o degli imputati, ma questo non necessitava di spiegazioni. La sua chiave di lettura dell’articolo come una “scappatoia” per gli imputati che hanno scansato diversi capi di imputazione, è personale (e filtrata anche dall’occhio da avvocato). E il dibattito sull’argomento, come vede, lo abbiamo innescato lo stesso. (aletru)