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Non c'è pietà per i nemici del boss di Gagliato

LAMEZIA TERME Giovanni Cretarola ha paura di Massimiliano Sestito. Ha paura dell’uomo che ha imparato a conoscere durante gli anni della detenzione a Sulmona e poi fuori, quando avevano deciso di r…

Pubblicato il: 11/01/2017 – 20:52
Non c'è pietà per i nemici del boss di Gagliato

LAMEZIA TERME Giovanni Cretarola ha paura di Massimiliano Sestito. Ha paura dell’uomo che ha imparato a conoscere durante gli anni della detenzione a Sulmona e poi fuori, quando avevano deciso di rivendicare Gagliato come paese della famiglia Sestito, con Massimiliano capo società, Cretarola contabile e Davide Sestito mastro di giornata come capo crimine. Quando Cretarola decide di saltare il fosso non esita a chiedere protezione per la propria famiglia. Nella sua mente rimbomba spaventoso un ricordo: le parole di rimprovero che Sestito aveva rivolto al fratello Davide subito dopo l’omicidio di Fortunato Rombolà, avvenuto sulla spiaggia di Soverato il 22 agosto 2010. Davide Sestito era turbato perché aveva scoperto che quel giorno, sulla spiaggia insieme a Rombolà e alla famiglia c’erano anche sua moglie e la sua bambina. La moglie di Sestito, in realtà, era cognata di Rombolà che aveva sposato una sua sorella. Non ci sarebbe stato niente di male a trascorrere del tempo con la propria congiunta ma non insieme al “rivale”, in pubblico, sulla spiaggia. Questo episodio venne visto dalla ‘ndrina come fatto grave e pericoloso. Rombolà apparteneva, infatti, ad un gruppo rivale e si scoprirà, poi, essere vittima designata da Michele Lentini e Procopio Fiorito, sodali dei Sestito. Davide, pur se turbato, lamenta il fatto che l’azione omicidiaria fosse stata compiuta comunque, nonostante la presenza di moglie e figlia vicino al bersaglio del killer. Ma suo fratello Massimo rivela, agli occhi di Cretarola, la propria «natura ferma e spietata», scrive il gip Giovanna Gioia, perché «non solo aderisce pienamente alla condotta del killer ma addirittura manifesta l’idea che anche loro sarebbero dovute essere uccise poiché si accompagnavano a membri della cosca contraria alla propria».

Ai magistrati della Distrettuale antimafia di Catanzaro – l’aggiunto Giovanni Bombardieri e il sostituto Vincenzo Capomolla –, Cretarola racconta che, saputo il fatto della spiaggia, Fiorito Procopio aveva rimproverato Davide Sestito. A questo punto, suo fratello Massimo aveva rincarato la dose ammonendolo: «Non solo ti dovevano rimproverare ma dovevano anche ammazzare tua moglie e tua figlia». 
Per questo motivo Gianni Cretarola sa che «nel momento in cui avessi collaborato con voi sarei diventato per loro un nemico da abbattere». «Ma la mia famiglia – aggiunge – […] l’unica colpa che hanno è quella di essere la mia famiglia». Gli inquirenti cercano un fondamento alle sue paure, un’avvisaglia. «I collaboratori che prima hanno collaborato contro Massimiliano Sestito sono morti ed erano i fratelli Grattà e sono stati uccisi a Gagliato un… due, tre anni fa nella faida dei boschi», dice Cretarola. E poi c’è quel ricordo che gli si è piantato addosso come un sudore freddo, il ricordo di parole spietate rivolte a un fratello… «dovevano anche ammazzare tua moglie e tua figlia».

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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