MAMMA CORAGGIO | I furti per sfuggire all'ira del clan
COSENZA Un linguaggio in codice – ma per gli inquirenti inequivocabile – quello usato dai pusher cosentini. Sono diversi gli episodi contestati e finiti nell’ordinanza di custodia cautelare dell’oper…

COSENZA Un linguaggio in codice – ma per gli inquirenti inequivocabile – quello usato dai pusher cosentini. Sono diversi gli episodi contestati e finiti nell’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione che ha sgominato una organizzazione dedita al traffico di droga nella città di Cosenza. Un’indagine partita dalla denuncia di una mamma che ha segnalato ai carabinieri della stazione di Cosenza nord l’attività di spaccio del figlio. Un’intensa attività investigativa ha portato, giovedì mattina, alla esecuzione di 35 misure cautelari emesse dal gip Giusy Ferrucci, su richiesta della Procura. Dieci persone sono finite in carcere, sedici ai domiciliari e per nove è stato emesso un obbligo di dimora. I magistrati hanno ribadito – anche in conferenza stampa – che non ci sono collegamenti con la criminalità organizzata, ma alcuni degli indagati si preoccupavano di occuparsi di recuperare i proventi dell’attività di spaccio per presunti esponenti delle cosche.
Dalle numerose conversazioni intercettate è evidente come tra di loro gli spacciatori cercavano di usare un linguaggio in codice, come «botta» per indicare lo stupefacente appena acquistato. Dalle conversazioni captate gli inquirenti sono riusciti a individuare quantitativo e prezzo della droga, dai quali era desumibile anche la natura della sostanza stupefacente ceduta, ovvero la cocaina, indicata in altre conversazioni con il termine «cocozza».
I LEGAMI CON MARCO PERNA Lo spaccio ha visto coinvolti diversi giovani, sia come pusher che come assuntori di droga, ma anche personaggi di caratura criminale. Uno degli indagati, Ernesto Mele, si sarebbe anche occupato di procurare il provento delle attività di spaccio aiutando Marco Perna (figlio del presunto boss) – nel periodo in cui lui era detenuto – a riscuotere le somme dovute da Denis Pati quale corrispettivo degli acquisti della droga e «facendosi consegnare da Gabriele Pati (nell’interesse di Denis Pati) mensilmente una somma di denaro che ammontava a 400-500 euro». In conversazioni, intercettate dal settembre 2015 al febbraio 2016, nelle quali venivano manifestate le preoccupazioni di Gabriele Pati per il debito contratto da suo figlio Denis che aveva ricevuto ingenti quantitativi di droga da spacciare ma non aveva provveduto al pagamento del corrispettivo. Pati riferisce al figlio Salvatore e alla moglie che il debito di Denis è stato in realtà contratto con “Marcuzzo” (trattasi, come emergerà in seguito, di Marco Perna), il quale a seguito del mancato pagamento avrebbe incaricato i suoi “gregari” (tra cui, appunto, Andrea Minieri ed Ernesto Mele) di riscuotere, ciascuno per una determinata quota, il denaro dovuto da Denis (Mele dovrà riscuotere la somma di euro 6.100). Gabriele Pati informa la moglie che dovrà incontrare alcune di queste persone e, nell’occasione, rappresenterà l’impossibilità di reperire la somma di 6mila euro entro tre giorni chiedendo di effettuare un pagamento mensile di 500 euro. Gabriele Pati riferisce al figlio Salvatore che Ernesto Mele è molto arrabbiato per il mancato pagamento del debito e ha minacciato di prelevare Denis per costringerlo a commettere qualche furto così da poter pagare il debito. Gabriele Pati si lamenta del fatto che Marco Perna, con il quale Denis Pati ha contratto il debito, al fine di recuperare il denaro ha coinvolto altre persone, che poi avrebbero minacciato Denis.
Mirella Molinaro
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