L'inchiesta "Robin Hood", il silenzio della politica e i cambiamenti inevitabili
Mentre Mario Oliverio fa sapere ai calabresi collegati su Facebook tre novità importanti, in linea con la sua politica di restaurazione, come ad esempio il suo “no” all’abbattimento controllato dei l…
Mentre Mario Oliverio fa sapere ai calabresi collegati su Facebook tre novità importanti, in linea con la sua politica di restaurazione, come ad esempio il suo “no” all’abbattimento controllato dei lupi o il lancio del nuovo portale della Regione e infine la sua visita a Dublino con i vertici di Ryanair, intorno a lui succede il finimondo.
Gente arrestata, politici corrotti, ‘ndrangheta rampante, aumento della microcriminalità e tanto altro ancora. Io non so chi sia il suo social media manager, ma di certo foss’anche lui in persona avrebbe potuto scrivere una mezza cazzata di circostanza. Che ne so: «Piena fiducia nella magistratura, noi disponibili a collaborare» oppure un più duro: «È vergognoso quanto emerso dall’operazione Robin Hood». E invece niente, il presidente Oliverio e tutti gli altri politici di più alto o basso rango, non hanno detto una mezza parola dopo le recenti operazione giudiziarie. Manco la paladina del non si sa cosa, alias Enza Bruno Bossio, ha scritto nulla. Non tanto perché la deputata Pd faccia parte della “Commissione di inchiesta sul fenomeno delle mafie”, ma giusto perché in casi come questi, quando cioè la Calabria è squarciata da pesantissime accuse di commistioni politico-ndranghetistiche, sarebbe preciso dovere da parte della politica – specie se di rappresentanza nazionale – prendere una posizione pubblica netta. Così funziona il mondo.
O almeno funziona così quando c’è una politica (e dei politici) che non ha nulla a che vedere con certe logiche, che lavora per il bene comune e convive solo con il gene dell’onestà. Chi crede nel cambiamento lo farebbe senza nemmeno pensarci. Lo farebbe per dire a quei cittadini stanchi e offesi oltre misura di tener duro e di conservare per quanto possibile un minimo di fiducia nelle istituzioni. Questo perché in un paese civile non esiste solo la magistratura. Questo perché in un paese civile sono molte le forze che devono avvertire l’obbligo di dovere e potere cambiare le cose.
L’operazione “Robin Hood”, pur nel pieno rispetto del garantismo, sta tracciando una via, un percorso chiaro che va oltre le manette. Qui c’è anche giustizia sociale, ovvero tutto quello che avrebbe dovuto garantire una politica seria, nuova e di – appunto – restaurazione. Tutto quello, insomma, che millanta e promettono Mario Oliverio e il carrozzone governativo e filo governativo.
È incredibile, nonché triste, notare come i calabresi siano lasciati da soli e abbandonati in momenti come questi. Quando accadono avvenimenti di tale portata, specie se in piccoli paesi, a nessuno viene in mente di tutelare la paura legittima della gente comune. Anche con una sola parola.
Vivere nei piccoli paesi di Calabria non è mai cosa facile, specie quando ci si trova costretti a convivere con il malaffare diffuso ad ogni angolo, dove anche – per esempio – la quotidianità può essere messa a repentaglio poiché scambiata da soggezione, soggiogamento e subalternità. Nessuno dei cittadini deve sentirsi corresponsabile di nulla, né tanto meno deve travestirsi da eroe per migliorare le cose. È compito della politica educare, migliorare e creare condizioni di vita migliori. Ora, tutto questo – salvo eccezionali miracoli alla Mimmo Lucano – qui non esiste. La politica continua a coltivare i propri interessi con il risultato che la gente continua o a votarsi al miglior santo o a vivere apaticamente relazioni e interessi sociali o, infine, ad emigrare.
Questa ondata giudiziaria senza precedenti, che ricorda il maxi processo a Cosa Nostra e Tangentopoli degli anni ’90, può davvero essere una bellissima occasione di rilancio. Diversamente dagli altri anni, oggi si assiste alla messa al bando di quei luoghi comuni che per decenni sono stati la causa vera dell’allontanamento della società civile dalle istituzioni. Chiunque ha sempre saputo chi era il ladro, chi il mafioso e chi il politico corrotto del suo paese. Chiunque ha sempre saputo quale imprenditore pagava la mazzetta e quale si era arricchito grazie alla ‘ndrangheta. E nessuno delle istituzioni ha mai fatto niente, elevando a sistema la corruzione, dando così per decenni l’impressione di non voler combattere una guerra nella quale erano se non coinvolti direttamente, quanto meno corresponsabili per questioni di opportunismo. E la gente di Calabria queste cose, al pari del ladro e del mafioso, le vedeva.
Ora: o ci si accorge di quanto importante sia la restituzione della dignità rubata o ci troveremo nei prossimi anni ad assistere lentamente al ritorno del vecchio sistema. Adesso che centinaia di malacarne sono assicurati alla giustizia, il governo ha il dovere di rinnovare la società finanziando con opere, lavoro e presenza fisica il futuro dei ragazzi calabresi. Finanziare ora, non domani. Ora. Perché le cose cambieranno. Ed è inevitabile.
*giornalista