I ritardi della Regione nella costruzione del welfare
Il recente rapporto sulla incidenza delle nuove povertà pubblicato dall’Ocse e la imminente pubblicazione del nuovo saggio di De Masi dimostrano come l’idea del liberismo sfrenato nell’Europa comunit…
Il recente rapporto sulla incidenza delle nuove povertà pubblicato dall’Ocse e la imminente pubblicazione del nuovo saggio di De Masi dimostrano come l’idea del liberismo sfrenato nell’Europa comunitaria abbia generato automaticamente una contrazione definitiva del concetto di ceto medio.
L’analisi è interessante e va sviluppata sul criterio di ricerca storico: sono gli intellettuali a dover costruire una identità sociopolitica.
Ciò che ci interessa più prosaicamente ricordare in questa sede è il ritardo che le Regioni, non solo la Calabria, hanno accumulato nell’ultimo ventennio nelle politiche inclusive, perimetrando in questo ambito sia il sostegno al reddito che la specializzazione in un contesto realmente assistenziale e non assistenzialistico.
Se vogliamo analizzare il sistema di progettazione del welfare non possiamo non criticare , anche in quella sede, l’impostazione della Ue totalmente differente dalla realtà dei Paesi singoli.
I fondi comunitari non danno la possibilità di vivere un sistema sociale che sia immediatamente operativo rispetto al welfare.
La giunta regionale calabrese ha di recente dichiarato che interverrà a sostegno del Sia, attraverso la piattaforma comunitaria, portando il contributo minimo alle famiglie beneficiarie a 500 euro mensili.
Si tratta di fondi indiretti, nel senso che le famiglie avranno una card all’interno della quale ci sarà un plafond disponibile per spese alimentari o di istruzione.
Bene, meglio di niente, certamente ma siamo lontani anni luce da un aiuto migliorativo e redistributivo.
Se parliamo di welfare è indubbio che dobbiamo concentrarci sulla persona e sulla indigenza, ma con un approccio intergenerazionale e non pietistico.
Le direttrici devono partire da un presupposto di comunità che abbia anche qualità semantiche diverse.
Il linguaggio burocratico, direbbe Lubello che è un padre della linguistica, è esso stesso discriminatorio.
Esistono potenziali disabilità per ognuno di noi ma l’attitudine è eugenetica: «Sì nasce sfortunati e malati». Un’aberrazione scientifica, visto che (solo per fare esempi clamorosi) i più grandi imprenditori della new economy sono degli Asperger.
La costruzione del welfare deve essere circolare e comprendere nella partecipazione e nel fabbisogno le famiglie, il volontariato, i nuclei sociali di interdizione dispersiva.
Ciò che manca ancora (e che non è mai esistito nel passato) è una dimensione evolutiva che superi la normocrazia come condizione unica. Questo presupposto è stato ben citato dal sindaco di Cosenza allorquando ha preso come esempio la Scandinavia non certo come obiettivo possibile e facile da raggiungere ma come costrutto culturale dove è possibile comprendere l’uguaglianza nella diversità.
Per il sostegno inclusivo è necessario andare oltre la spesa corrente e capitale.
Bisogna coinvolgere le fondazioni bancarie, quelle dedicate, aprire finalmente un dibattito sull’Aterp per capire se ha intenzione di riprendere a costruire edilizia popolare che non sia ghettizzante.
Tutto parta dall’idea che è dovere della pubblica amministrazione agire per facilitare e favorire la solidarietà non perdendo un euro di finanziamento possibile.
È fondamentale seguire a naso il consiglio di Robert Frost prendendo la strada mai seguita. Una rivoluzione moderata che cancelli le vergogne di un passato nel quale rubare ai poveri passava per un ente chiamato etico.
*Giornalista e sociologo della salute