Il vescovo di Reggio: «’Ndranghetisti, rinunciate al crimine»
REGGIO CALABRIA «Nessuna parola di morte risuonerà più forte di quella del Risorto! Non dimenticatelo! Anche per voi può essere giunta l’ora della conversione: andate anche voi a dire che Gesù è riso…

REGGIO CALABRIA «Nessuna parola di morte risuonerà più forte di quella del Risorto! Non dimenticatelo! Anche per voi può essere giunta l’ora della conversione: andate anche voi a dire che Gesù è risorto. Ma ditelo con la vita, rinunciando al crimine!». È l’esortazione agli ‘ndranghetisti rivolta dal vescovo di Reggio Calabria Giuseppe Fiorini Morosini nel suo messaggio di Pasqua. «Siamo stanchi in Calabria – afferma – di celebrare riti e processioni quando sappiamo che sul nostro territorio non c’è la liberazione che la Pasqua di Cristo ci ha portato, e che voi pensate di poterci negare, o di impedirci di vivere sino in fondo: nessuna azione di morte sarà per sempre!. La Pasqua ci liberi dal male, che è la vera schiavitù dell’uomo, perché tutti sappiamo sorridere alla vita, pieni di fiducia e di speranza».
L’Arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza episcopale calabra, invita la comunità ecclesiale «a guardare al Santo Sepolcro. Qui, per chi oggi voglia visitarlo, occorre abbassarsi per entrare e “abbassarsi” significa essere umili». Da qui l’augurio di «una Pasqua» che «ci faccia umili, nuovi nello spirito, nella mente e nel cuore. Questa è la Pasqua vera che ci fa guardare Cristo, l’uomo che dobbiamo noi tutti imitare». «È la sequenza di Pasqua che celebra la vittoria di Cristo risorto sulla morte e sul peccato, sulla cattiveria e sulla violenza, sull’odio e sulla malvagità, donando la sua vita, innocente, con amore immenso e misericordioso, per dare all’uomo di tutti i tempi, se unito a Lui, la possibilità della vittoria perenne!», afferma l’arcivescovo di Cosenza-Bisignano, Francesco Nolè, sottolineando che «noi suoi discepoli e ministri, siamo chiamati a dire, pur con le nostre debolezze e i nostri limiti, da che parte stiamo e cosa scegliamo». «La Pasqua, che ci fa fare memoria della Risurrezione di Gesù, non è il lieto fine di una bella favola», scrive il vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, Luigi Renzo, che invita a «portare una ventata di Vangelo a questo mondo disturbato dalla frenesia del possesso e da tutto quell’insieme di idoli affascinanti ed illusori che impediscono di volare alto verso una umanità più bella, più libera e più vera».
Per Giuseppe Satriano, arcivescovo di Rossano-Cariati, «troppo il dolore causato dall’ignavia di molti, dalle omissioni di tanti, dalle ingiustizie calcolate e volute». «In ogni morte personale e collettiva – ricorda Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Ionio – in ogni umiliazione, in ogni prostrazione, in questo giorno, viene detto: non abbiate paura! Io sono con voi. Il mio amore incondizionato e gratuito ha vinto la morte». «Anche quest’anno – scrive l’Eparca di Lungro Donato Oliverio – la Pasqua ci coglie mentre viviamo momenti difficili nel mondo intero: noi oggi dobbiamo guardare in faccia alla nostra realtà che fa fatica ad andare avanti, ma che attende luce, speranza, vita. Come credenti non possiamo fare finta di niente. Se vogliamo celebrare, proclamare la Pasqua del Signore è d’obbligo provare a gettare luce e speranza su tutta questa nostra realtà».
Il vescovo di Lamezia Terme, mons. Luigi Cantafora, prega Gesù Risorto perché «dimostri anche oggi che l’amore è più forte dell’odio. Che è più forte della morte. Discendi anche nelle notti e negli inferi di questo nostro tempo e prendi per mano coloro che aspettano. Aiutaci a vivere la Pasqua, il passaggio sempre aperto dalla notte alla luce, dal peccato alla grazia, dalla morte alla vita».
IL VESCOVO DI LOCRI VISITA MALATI E DETENUTI «Con la Pasqua tutto cambia». Nella mattina di Pasqua il vescovo di Locri-Gerace mons. Francesco Oliva ha sintetizzato il messaggio di Pasqua, prima per i detenuti della Casa Circondariale e poi per i ricoverati presso l’Ospedale di Locri. «Quello che accade è qualcosa di inaudito, di impensabile – ha detto nel penitenziario, dove ha celebrato con il cappellano don Crescenzio Demizio -. Sulla croce, proprio quando si manifestava i massimo della violenza, è apparsa la grandezza dell’amore di Dio, un amore che la morte non può distruggere. L’amore è più forte dell’odio e della violenza. La Pasqua di Gesù ci dice che ci sarà una Pasqua anche per noi, che non è possibile accontentarsi di ciò che passa, che esiste una verità che si può conquistare, una giustizia ed un bene comune che si possono affermare, che esiste una bellezza da cercare, un amore che neppure la morte può mettere in discussione. Che è possibile una vita più vera e più umana già qui, sulla terra. Ch’è possibile lasciare dietro le spalle il nostro passato con i suoi errori e le sue cadute, con le sue scelte sbagliate e i fallimenti, con le sue incoerenze ed infedeltà». Parole di speranza il vescovo le ha rivolte pure agli ammalati dell’Ospedale cittadino: «Sì, tutto può cambiare anche in questo luogo di cura. In questo ospedale dove la gente viene nella speranza di trovare le giuste cure, per recuperare la propria salute. Qui può incontrare una mano tesa o un cuore chiuso. Un volto sorridente ed accogliente o uno sguardo distratto e disinteressato. Qui l’ammalato può trovare il volto del samaritano che soccorre ed assegna il reparto ove essere curato o la fretta del sacerdote e del levita che hanno altrove la propria mente e preoccupazioni. Qui può essere Pasqua tutti i giorni. Qui deve essere pasqua tutti i giorni. La ragione è semplice: questo è il luogo dove è possibile passare dalla malattia alla guarigione, dal pericolo di morte alla cura favorevole. E allora – ha concluso il presule – facciamo sì, ciascuno per la sua parte, che sia pasqua per tutti coloro che a questo ospedale ricorrono per essere curati».