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Bova si difende: «Tutta colpa della stampa» – VIDEO

REGGIO CALABRIA «Sono un piccolo uomo, non sono in grado di combattere una guerra mediatica, sono incapace di difendermi». Fa leva su un vittimismo vecchia maniera Arturo Bova per giustificare l’anom…

Pubblicato il: 05/06/2017 – 10:40
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Bova si difende: «Tutta colpa della stampa» – VIDEO

REGGIO CALABRIA «Sono un piccolo uomo, non sono in grado di combattere una guerra mediatica, sono incapace di difendermi». Fa leva su un vittimismo vecchia maniera Arturo Bova per giustificare l’anomala conferenza stampa convocata dopo lo scandalo che lo ha riguardato: lui che parla e i giornalisti a fare da spettatori, senza poter fare domande. Ha deciso così, il presidente della commissione Antindrangheta, vittima del «silenzio assordante di quelli che dovevano parlare» (gli esponenti di centrosinistra?) e coinvolto in quella che lui etichetta come una semplice «vicenda mediatica»: il suo “rapporto d’affari”, seppur temporaneo, con Leonardo Catarisano, finito in carcere nell’ambito dell’inchiesta “Jonny” in quanto ritenuto il boss di Roccelletta di Borgia. Bova e Catarisano, come riportato la settimana scorsa dal Corriere della Calabria, erano soci della Gife srl, un’azienda attiva nel commercio all’ingrosso, nel movimento terra e nel settore edile. Della questione, assicura Bova, sarà interessata tutta la sua maggioranza, a cui chiederà una riunione ad hoc «sulla legalità», cioè sul suo caso. Solo dopo questo passaggio, assicura, ci sarà spazio per rispondere a tutte le domande.   
Il presidente dell’Antindrangheta legge un discorso preparato anzitempo. E, da subito, si dichiara «completamente estraneo alla vicenda», senza però smentire alcunché rispetto alle rivelazioni del Corriere. «Sono qui, nel luogo in cui cerco di portare avanti il ruolo che mi compete (l’aula commissione del Consiglio, ndr), per tutelare non solo la mia persona, ma l’istituzione. Il mio nome, malgrado questa circostanza sia stata sottaciuta, non compare mai nei brogliacci dell’inchiesta “Jonny” né nelle dichiarazioni dei pentiti, ma solamente in un allegato di un sottofascicolo dell’indagine. È dettaglio di non poco conto, perché dimostra il peso che gli inquirenti avevano dato a questa vicenda». 

IL 2009 L’ex sindaco di Amaroni torna al 2009, l’anno in cui per la prima volta emergono i suoi “contatti” con Catarisano, cristallizzati dall’inchiesta “Falcos”. «Ad oggi – insiste – nessun magistrato ha mai chiesto di sentirmi, non sono mai stato indagato, né mi è stato chiesto di chiarire alcunché su questa vicenda. All’epoca mi presentai al pm dell’indagine per fornire ogni spiegazione». Insomma, quella notizia «era di dominio pubblico già nel 2009, senza che ci sia stato alcun risalto sulla stampa. Perché 8 anni dopo si tira fuori la notizia e mi si espone alla gogna mediatica?». A parte la gogna, forse una spiegazione può essere abbozzata: all’epoca Bova era “solo” il sindaco di Amaroni, e non il presidente di una commissione antimafia.  
Il presidente continua a raccontare: «Nel 99-2000 i miei cugini di carne mi chiedono di entrare in società con loro in un’azienda edile. Nel 2001 costituiamo la società che prende in fitto questa azienda». Ma ben presto, «a causa di notevoli perdite e di dissensi, non restò altra strada che richiedere ai proprietari di riprendere l’azienda prima della scadenza del fitto». 
«La mia strada si incontra» con Catarisano (non lo nominerà mai per tutta la conferenza) «solo per cedere le quote e interrompere un rapporto societario iniziato con altre persone. È tutto documentato. Ho trasferito le mie quote a titolo gratuito pur di disfarmene, anche a fronte di possibili notizie di reato a carico di uno dei soci (Catarisano, appunto, ndr), una situazione che mi metteva in imbarazzo». 

CERTA STAMPA Ma, più che animato dalla volontà di spiegare, di chiarire, Bova sembra interessato a stigmatizzare l’operato di certa stampa, cioè del Corriere (anch’esso mai nominato): «Perché non si è sentita l’esigenza di contattarmi e di chiedermi una spiegazione? Non c’era il dovere, quanto meno deontologico, prima di scatenare una bufera mediatica, di chiedermi una spiegazione al fine di saggiare se era una notizia da mordere e approfondire o da trattarsi secondo la sua irrilevanza penale?». 
E insomma, certa stampa è «cattiva», perché, secondo Bova, avrebbe messo in correlazione il suo rapporto con Catarisano con la sua «ascesa politica»: «Un trampolino di lancio? La cosa che mi ha più ferito è stata la cattiveria di chi ha realizzato l’articolo. Non permetterò a nessuno di gettare discredito sulla comunità di Amaroni, esempio di buona amministrazione. Insinuare che ci possa essere condizionamento mafioso è ignobile, prima ancora che ridicolo». 

UNO PER UNO Il presidente “autosospeso” dell’Antindrangheta dimostra di avere un controllo ferreo del voto nelle sue zone: «La mia elezione in Regione? Li posso contare uno per uno, i miei voti. A Roccelletta (feudo di Catarisano, ndr), dove ho lavorato per 20 anni con risultati notevoli e dove ho amici personali, ho preso appena 70 preferenze». Poi elenca pure le sezioni. E aggiunge: «Nel 2014 tutta la lista Dp ha preso circa il 7% in quel territorio. Si può seriamente parlare di ascesa e insinuare il dubbio del condizionamento mafioso? O forse l’interpretazione doveva essere diversa?». 
Ora Bova mette in fila le sue «battaglie»: le sue lotte contro la centrale a biomasse e la discarica di Battaglina, contro l’installazione di parchi eolici e l’impegno a fianco del comitato che si è opposto alla centrale a carbone di Saline Joniche. Tutte campagne «ambientaliste e non lobbiste», come quella contro le trivellazioni nel Mediterraneo, «in un coraggioso contrasto con il mio governo e il mio partito. Ho cercato di assicurare la presenza dello Stato, della Regione e della commissione laddove era necessario. Non ho esitato a stare nelle aule di tribunale accanto ai testimoni di giustizia mentre su di me si posava lo sguardo degli imputati e dei loro familiari». Ancora: «Ho posato lo sguardo sulla massoneria e sugli affidamenti diretti negli appalti pubblici». E infine, il presidente dell’Antindrangheta alimenta dietrologie, retroscena fantasiosi: «Guarda caso, quella mattina in cui è stato pubblicato l’articolo che mi riguardava avevo convocato la commissione, che avrebbe affrontato la situazione del Cara di Isola (la cui gestione criminale è finita sotto la lente della Dda di Catanzaro grazie all’inchiesta “Jonny”, ndr)». È proprio una «fortuna», allora, «che tante altre testate e social network riescano a fare giustizia». 

CHIUSURA Bova trova il tempo per ribattere anche alla proposta di Fausto Orsomarso: «La commissione Antindrangheta va chiusa? È una conclusione malsana, significherebbe chiudere altre saracinesche dello Stato, che la mafia ha vinto ancora sulle debolezze delle istituzioni. Semmai non abbiamo bisogno di singoli eroi, ma di una squadra». Quella stessa squadra che ha “dimenticato” di difendere il consigliere regionale “sotto attacco”: «Sono un piccolo uomo, non sono in grado di combattere una guerra mediatica. Il silenzio assordante di chi avrebbe dovuto parlare mi impone un contegno riflessivo e responsabile». Infine, ecco buttata lì un’altra allusione: «Tra poco, il Consiglio procederà al rinnovo delle cariche…»; quasi a sottolineare la tempistica sospetta degli articoli di certa stampa.  
«È stata una settimana che non auguro a nessuno, mai mi è capitato di difendermi da una simile onta. Chiederò subito la convocazione urgente di una riunione di maggioranza. Risponderò alle domande solo dopo aver parlato con gli altri consiglieri». Ma il problema più grosso è sempre la stampa, qualche giornale: «Le notizie? Si possono dare in un modo o in un altro. Accostare il mio nome a chi è sottoposto a indagini penali… pensate che colpire Bova o la commissione faccia un favore all’antindrangheta?».

Pietro Bellantoni
p.bellantoni@corrierecal.it

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