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«In Cassazione per Villella? Non sono d'accordo»

Il Comitato tecnico-scientifico “No Lombroso” sta raccogliendo le donazioni per affrontare le spese del ricorso in Cassazione contro la sentenza d’appello che ha dato ragione al Museo “Cesare Lombro…

Pubblicato il: 06/06/2017 – 14:06
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«In Cassazione per Villella? Non sono d'accordo»

Il Comitato tecnico-scientifico “No Lombroso” sta raccogliendo le donazioni per affrontare le spese del ricorso in Cassazione contro la sentenza d’appello che ha dato ragione al Museo “Cesare Lombroso” e all’Università di Torino. Per la Corte d’appello di Catanzaro, che ha ribaltato una precedente decisione del Tribunale di Lamezia Terme di segno diametralmente opposto, il cranio di Peppino Villella,  che – si badi! – non fu neppure un brigante, deve restare nella teca del Museo torinese. Personalmente, non ho intenzione, pur sostenendo da tempo le ragioni di Peppino Villella, di aderire alla richiesta del Comitato, ma non per tirchieria. 

SBAGLIATO SCEGLIERE LA VIA GIUDIZIARIA In realtà, non mi ha mai entusiasmato l’idea di battere la strada giudiziaria per mandare libero un poveraccio di meridionale finito nelle grinfie di un medico veronese dalle tesi farlocche. Ciò perché, in breve, la “questione Villella”, pur innescando interessi materiali contrapposti (quello del Museo, che ha nel cranio di Villella il suo pezzo più attrattivo, avendo asserito Lombroso che proprio in quel cranio rinvenne la “fossetta occipitale mediana” a supporto della teoria del “delinquente atavico”, quello del Comune di Motta Santa Lucia che invece rivendica il cranio di un suo cittadino per consegnarlo alla terra dopo una doverosa cerimonia funebre) è soprattutto il simbolo di un’ingiustizia storica e di un pregiudizio  antimeridionale che, se deve essere esaminato sine ira et studio (trovando anche il modo di pacificare i contendenti, per esempio, lasciando nel Museo  un calco in gesso del cranio a cui invece va da data dignitosa sepoltura),  non può che affidarsi al dibattito culturale e politico. Il punto di domanda, inoltre, che mi induce a suggerire di interrompere questa sorta di accanimento giudiziario da parte del Comitato “No Lombroso”, è il seguente: hanno tempo da dedicare, ammesso che ci siano le competenze soggettive necessarie, la politica e la cultura italiana, alle prese con un disorientamento valoriale, istituzionale e antropologico di  straordinaria portata, ad una specifica vicenda di due secoli or sono? Evidentemente no. E il Meridione, nella morsa di un pernicioso dissolvimento del suo tessuto produttivo e inasprito da povertà crescente,  diseguaglianze sociali e una disoccupazione giovanile da brivido, ha la capacità e  la tenacia  di  battersi per ottenere giustizia per Villella ed imporre un chiarimento storico sulle modalità con l’Italia è stata costruita e sugli  effetti di un’annessione che l’ha visto pagare prezzi altissimi? Evidentemente no. D’altronde, se pure si ottenesse una sentenza che schiodasse il cranio della discordia dal Museo, a che servirebbe senza il coinvolgimento emotivo degli italiani e la loro presa di coscienza circa le scellerate azioni dell’élite pre e post unitaria che ha fondato il Paese sul  divario di sviluppo Nord-Sud? Meglio, dunque, attendere che passi la nottata. 

LE RAGIONI DI VILLELLA E “IL TRADIMENTO DEI CHIERICI” Certo, fa specie l’immobilismo e persino la disinformazione a cura di parte della cultura italiana (accademica in particolare), che liquida la  “questione Villella”  con la sufficienza urticante propria di opinioni prive del benché minimo fondamento giuridico, etico, politico e culturale. Altro che intellettuali “milizia spirituale” del potere temporale (Jiuliene Benda, autore dell’attualissimo pamphlet sul “tradimento dei chierici” del 1927) o fedeli ai partiti. Qui, non si ravvisano custodi dei valori né l’intento di mettere in sicurezza la memoria collettiva, al più s’intravedono “saperi” assorbiti dai propri interessi e organici alla strategia del liberismo hard di svuotamento delle menti dei cittadini che fomenta la post-verità e le fake news. Per stare sul punto: Villella resta nella teca, ma perché? Perché deve restare in quel carcere chiamato Museo un sottoproletario calabrese colpevole d’essere nato in un’epoca in cui l’esordiente Italia gettava in carcere (o fucilava) briganti e morti di fame del Sud e nel cui cranio, quando Villella  morì nel carcere di Vigevano, nel 1871 Lombroso, le cui asserzioni sono state maciullate dalla scienza universale, disse di aver scovato la prova per le sue farneticazioni?  Non è forse vero che l’esposizione di quel cranio umano nel Museo viola ogni norma giuridica, etica e religiosa? Discutiamone. Viola prima di tutto le norme che impongono che il cranio di una persona debba essere seppellito. Viola la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata nel 1948, che esige il rispetto dell’uomo e dei suoi resti mortali. Va contro i dettami biblici e quelli della cultura greca che ha animato l’Occidente. Antigone, nella tragedia di Sofocle, si fa murare viva perché viola la tremenda legge di Tebe che condanna i corpi dei traditori a putrefarsi senza sepoltura al di fuori delle mura. Così,per seppellire il fratello Polinice, e contro il volere di Creonte, lo zio tiranno, Antigone dà con le sue mani sepoltura a quel corpo. E la Bibbia?  Espressamente chiarisce – nel secondo libro di Samuele, quando Davide recupera i corpi di Saul e dei suoi figli morti nella battaglia contro i Filistei per seppellirli – “che essere privati della sepoltura è una maledizione di Dio” e che, quindi, la sepoltura si concede anche ai criminali dopo l’esecuzione della pena capitale. Ma c’è una norma vincolante per ebrei e cristiani: precisamente i versetti 22/23 del Deuteronomio (ossia il quinto libro che sigilla il Pentateuco, i cinque libri venerati dalla tradizione giudaica e cristiana). Si tratta del libro che contiene alcuni discorsi di Mosè ed al cui interno vi sono le leggi che debbono reggere Israele pena la reazione (durissima, se si pensa alla poca duttilità del Dio dell’antico Testamento) e che nella parte indicata asserisce: «Quando un uomo ha commesso un peccato che merita la morte e tu l’ha appeso a un albero, il suo cadavere non dovrà rimanere appeso tutta la notte all’albero. Lo devi seppellire in quello stesso giorno, perché appeso è una   maledizione di Dio e tu non devi contaminare la terra che il Signore tuo Dio ti ha dato in eredità». Non basta? Certo che sì. Ma adesso non si può. «Natura non facit saltus», figurarsi la storia. Questa storia poi, che ci vede tutti, oggi, in mezzo al caos.  

*Giornalista

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