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«I centri storici crollano, serve una nuova legge»

Lo stato delle città italiane, un tempo vanto del nostro paese e testimoni della nostra civiltà, oggi è scoraggiante. Le città sono per lo più strette nella morsa di una crescita edilizia disordinata…

Pubblicato il: 22/06/2017 – 13:23
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«I centri storici crollano, serve una nuova legge»

Lo stato delle città italiane, un tempo vanto del nostro paese e testimoni della nostra civiltà, oggi è scoraggiante.
Le città sono per lo più strette nella morsa di una crescita edilizia disordinata, che soffoca praticamente ogni tentativo di migliorare la qualità della vita dei residenti. 
Centri congestionati e inquinati, al limite della vivibilità, con oltre il 50% degli edifici costruiti più di 40 anni fa, ormai inadeguati come prestazioni e spesso di pessima qualità architettonica. Spazi pubblici e verde urbano spesso sacrificati alle ragioni del traffico e mal frequentati perché mal progettati.
Periferie in stato di degrado generalizzato, sconnesse dai centri urbani e sfornite di servizi, attendono di essere integrate dignitosamente nei nuclei cittadini. 
Centri storici spesso in stato di abbandono e di degrado restano esposti alle intemperie e al rischio sismico senza un’adeguata protezione; vero spreco di un patrimonio culturale unico e irripetibile, di un Paese che da solo detiene oltre la metà dei giacimenti culturali mondiali, ma anche di una risorsa economica dalle enormi potenzialità. 
È ora di avviare un processo di rigenerazione urbana improntato alla qualità degli edifici e delle infrastrutture, alla sostenibilità delle attività ed in primo luogo della mobilità urbana, alla qualità della vita.
Tutto ciò presuppone un recupero prestazionale dell’ambiente urbano, dei servizi pubblici, dell’offerta artistica e culturale, delle strutture e degli spazi dedicati alla socializzazione, alle attività ludiche e sportive.
Per avviare questo processo di rigenerazione urbana non bastano,però, solo buone idee e competenze. Non bastano finanziamenti e risorse pubbliche dedicate. 
Occorrono nuove leggi che, da un lato rimuovano gli ostacoli con cui oggi si scontrano tutti i tentativi di miglioramento e, dall’altro, incentivino gli attori del rinnovamento, siano essi pubblici o privati. 
Il Paese ha di fronte a sé una priorità assoluta: l’approvazione di una nuova legge urbanistica.
La normativa attuale, risalente al 1942, è infatti figlia di una stagione economica e culturale assolutamente incompatibile con le realtà urbanistiche e sociali contemporanee.
Soltanto attraverso la fattiva collaborazione pubblico-privato, infatti, possono essere attivate quelle risorse umane e finanziarie senza le quali uno sforzo così imponente non potrà essere attuato.   
Occorre investire nella riqualificazione del patrimonio edilizio e nella qualità urbana.
Un solo terremoto, quello dell’Italia centrale, è costato (dati della Protezione civile) quasi 25 miliardi. Il solo spreco energetico negli edifici costa oltre 8 miliardi l’anno (VI Rapporto annuale Cnpi e Censis). Dal 2008 ad oggi si sono persi oltre 600 mila posti di lavoro nell’edilizia (ultimo rapporto Ance). Conviene investire e raccoglierne i frutti o rassegnarci a questa emorragia? 
Occorre semplificare le procedure e neutralizzare legislativamente ogni ostruzionismo burocratico.
Per ottenere un permesso edilizio ci vogliono in media 97 giorni, con punte di 146 per il centro Italia (rapporto Oppal del Politecnico di Milano). Questo dopo avere acquisito un numero di pareri ed autorizzazioni che nessun altro Paese al mondo immagina. La tutela non può e non deve essere sconnessa dalla valorizzazione, altrimenti fallisce come scopo.  I centri storici crollano perché intoccabili. Ma come si può curare un intoccabile? E come pensare di investire nel comparto edile con tante incognite?  
Non possiamo sacrificare l’economia, lo sviluppo sociale, i bisogni immediati delle persone e la qualità delle opere sull’altare della cosiddetta trasparenza.
Leggi come il nuovo Codice degli appalti non possono ignorare esigenze che non siano strettamente legate alla cosiddetta trasparenza e in nome di questa imporre procedure sproporzionatamente complicate e lunghe. E’ troppo facile imbrigliare i processi senza porsi il problema della loro efficienza e della loro efficacia: in questo modo quello che dovrebbe essere uno strumento diventa il fine del’azione amministrativa. E quando le norme bloccano o rallentano interventi di semplice buon senso in situazioni di emergenza (vedi la situazione in centro Italia dopo il teremoto), al danno economico si sommano il danno sociale e quello morale, col rischio di spegnere i veri motori della ripresa. 
Basta con le norme zavorra, basta alle costruzioni di carta che precedono e a volte si sostituiscono a quelle vere (spesso a parità di costo), basta agli alibi facili per chi non vuole assumersi responsabilità pur restando a carico della collettività.  
In tutto questo i Comuni non possono essere lasciati soli in prima linea.
Debbono avere un interlocutore, come un Ministero dei Comuni, previsto in altri paesi. Non si può continuare a caricare di obblighi burocratici e costi queste strutture che spesso sono minuscole. Oggi un tecnico comunale passa più tempo a compilare moduli che a lavorare per la collettività.  
Restituiamo le città alle persone e il ruolo di stimolo e di guida alle norme.
Ne guadagneremo in qualità della vita e benessere economico, contrasteremo marginalizzazione e daremo un senso compiuto alla riabilitazione di un territorio che deve essere restituito alla sua bellezza. 

*sindaco di Cosenza, delegato nazionale urbanistica Anci

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