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«La politica culturale della Regione è zero»

L’editoriale “Le trame vere (e quelle finte) di Lamezia” solleva un problema che è più profondo della apparente contraddizione tra una kermesse libraria importata sul territorio di cui la Calabria fr…

Pubblicato il: 29/06/2017 – 18:29
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«La politica culturale della Regione è zero»

L’editoriale “Le trame vere (e quelle finte) di Lamezia” solleva un problema che è più profondo della apparente contraddizione tra una kermesse libraria importata sul territorio di cui la Calabria francamente non sente il bisogno e le inchieste della procura guidata da Nicola Gratteri che svelano ben altre trame nella quarta città calabrese. La questione sollevata riguarda la politica culturale della Regione Calabria che è zero più zero uguale a zero. In Calabria c’è da moltissimo tempo un problema di leadership e c’è una difficoltà di selezione della classe dirigente. La politica nazionale ha sempre utilizzato la Calabria, il Sud in generale, come «granaio di voti» (l’espressione è di Leoluca Orlando), non come luogo dove promuovere il protagonismo. Vanno bene gli incapaci che fanno comodo: ascari, ignoranti e piccoli prepotenti che tanto piacciono a Roma. È questo reclutamento di convenienza tra le cause principali del sottosviluppo e del vuoto culturale nella regione che si cerca di riempire con “pacchetti” mal confezionati e che dentro non contengono nulla. Mentre la politica nazionale chiede ai politici calabresi più sentimenti di fedeltà che programmazioni intelligenti e comportamenti virtuosi, c’è una parte della cultura e del mondo dei media che si inserisce nella realtà regionale proponendo iniziative che non lasciano nulla sul territorio. È questa la nuova colonizzazione della Calabria. Mentre a Milano, Torino, Palermo, Taormina si fanno grandi kermesse librarie con autori che rappresentano il meglio della cultura europea e mondiale, in altre città si parla di filosofia, matematica, scienza da noi si discute di “trame”. Che i calabresi conoscono bene e di cui vogliono liberarsi.  Ci sono culture, come quella calabrese, che sono rimaste ai margini del contesto culturale nazionale, pur avendo un potenziale in grado di contribuire efficacemente al mutamento e al miglioramento dell’identità nazionale. Le diversità (presunte) che infastidiscono o impauriscono – al contrario – se ben armonizzate dentro un’idea strategica di Paese sono valori aggiunti, elementi utili nella ricerca di futuro per tutti. Ma chi viene da fuori non lo capisce e chi qui ha responsabilità politiche non ha lo spessore politico-culturale per portare avanti un discorso sulla Calabria che batta pregiudizi e scarsa conoscenza di questa regione. Si accontenta della politica culturale degli slogan, delle sagre, dell’informazione pubblicitaria… sgrammaticata. Che fare. Forse noi calabresi dobbiamo dire basta e fare una rivoluzione. In un mio libro in uscita da Rubbettino (“La Calabria spiegata agli italiani”) dico, in chiusura, che serve una rivoluzione culturale: un mutamento di mentalità, un progetto che avvicini la società del Nord che cammina veloce e la società del Sud, ferma suo malgrado. Che bisognerebbe fare il lavoro incompiuto della liberazione del Paese dopo il fascismo e la guerra. C’è un articolo della nostra Costituzione (art. 4 secondo comma) che recita: «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». È un incoraggiamento a scendere in campo con la Costituzione in mano per costruire il futuro. Una sollecitazione culturale e politica che onora la memoria dei padri della patria. Un monito a non delegare (passivamente) ma a rendersi protagonisti attivi. I calabresi onesti possono riprendersi la loro terra se sono disposti a metterci le mani per ripulirla. E lo Stato solo occhiuto ha il dovere di diventare governante, con la missione di cancellare un vizio d’origine anacronistico, che non ha più ragione d’essere dopo quasi due secoli. Scendere in campo – chiedendo più Stato – per cambiare non è questione politica o ideologica, ma ricerca (democratica) di uguaglianza e di riconoscimento dei diritti della persona, uguali per tutti nei territori di una stessa Nazione. È una questione di sopravvivenza non solo per la Calabria, ma per l’Italia tutta.

*Giornalista

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