REGGIO CALABRIA Il suo nome ha superato i confini di Locri quando ha risposto con lo striscione «Siamo tutti sbirri» alle offese dirette a don Ciotti comparse sui muri della città. Ma adesso il sindaco Giovanni Calabrese rischia di stare scomodo sul palco delle stelline dell’antimafia, su cui quel gesto l’ha proiettato. Per gli investigatori che hanno lavorato all’indagine “Mandamento Jonico” sarebbero stati i voti dei clan a farne il primo cittadino di Locri.
OSTELLO CON IL PERMESSO DEI CLAN Un paradosso forse quasi normale a Locri. Sotto il governo dei clan, nella città che ha dato i natali a Zaleuco, uno dei primi legislatori della storia, sono state le imprese del clan Cordì a costruire il Palazzo di giustizia. E i Cataldo hanno finito per guadagnare sulla costruzione di quell’Ostello della gioventù sorto al posto della loro storica villa. Un progetto inserito nel Pon sicurezza, il programma del ministero dell’Interno cofinanziato dall’Ue, mirato ad «aggredire le cause “eccezionali”, riconducibili al forte radicamento della criminalità organizzata». A Locri però non ha funzionato del tutto. E 80mila euro sono finiti in mano ai Cataldo. È stato questo il prezzo dell’autorizzazione concessa alla ditta per lavorare su qualcosa che consideravano di loro proprietà nonostante la confisca.
IL SINDACO DELLA PACE Anche il sindaco – ipotizzano gli investigatori – sarebbe il risultato di una scelta dei clan. Forse anche condivisa. Quando le ultime amministrative sono state convocate, i Cordì e i Cataldo, dopo anni di faida feroce, erano già in pace. La morte del boss Cosimo Cordì e la decimazione dei ranghi dei Cataldo, unita ad una martellante pressione investigativa avevano indotto tutti a scendere più miti consigli. E rinunciare alla guerra. Non solo sulla base di un’equa ripartizione dei profitti derivanti dal controllo degli appalti pubblici. Ma anche sulla base di accordi politici.
LE INVOLONTARIE CONFIDENZE DI ANTONIO CATALDO È in questo contesto che Antonio Cataldo – grande scontento all’interno del suo stesso clan – si muove per capire come su quale candidato i Cordì faranno convergere le preferenze. Si rivolge ad un uomo che le indagini non sono riuscite a identificare, ma molto ben informato. «Per curiosità – gli chiede – volevo sapere i “Curdi” a chi votano? Calabrese?». La risposta dell’interlocutore – «Là, là è» – è così chiara per il boss da non permettergli neanche di concludere. «Nella lista di Calabrese? e chi è? e come per i voti sono divisi?»
LA PAX POLITICA Domande che Cataldo trasforma in una sorta di sondaggio, rivolto a tutti quelli che ritiene ben informati. Ma i risultati non lo soddisfano per nulla. I Cordì – apprende da Alessandro Raffaele – voteranno per Calabrese che ha avuto l’accortezza di far assumere più di uno dei “loro” nel call center di Locri. « A chi hanno messo nel “Call Center”?… Enzo? Enzo l’ha messo nel “Call Center”? … Loro? E glieli ha messi? e quanti ne ha messi?» chiede infastidito Cataldo. «Un paio glieli ha messi» dice certo Raffaele, «i Cavaleri sicuro». Cioè una costola dei Cordì, per parentela e per affiliazione.
IL CANDIDATO UNITARIO «E sei i Cordì votano Calabrese, mio cugino Franco a chi vota – esplode Cataldo – ti sto dicendo Franco, si vede con l’uno e con l’altro e si baciano, no?… Enzo Cordì? capisci cosa ti voglio dire? Perché sono d’accordo con chi prende i voti allora!». Una sinergia che non gradisce. Per niente. «Per “pila” sono tutti d’accordo lì!» mastica amaro. Ma si deve rassegnare, anche perché dell’orientamento del suo clan ha avuto modo di avere cognizione diretta. Lui stesso ha ricevuto “avances elettorali” da parte di diversi candidati, incluso il futuro sindaco Calabrese, che – racconta – «è venuto (..) Calabrese. Dice “poi vi voglio parlare”. Gli ho detto “sempre qua sono io!”». Dopo di lui, si sarebbero presentati anche i parenti di una serie di candidati nella lista del futuro sindaco, fra cui Vincenzo Rodinò, e Salvatore Ursino “Formaggino”, sponsor della candidatura del cognato, Alfonso Passafaro.
LE INQUIETUDINI DEL BOSS Nonostante i riconoscimenti, a Cataldo la situazione non piace. Perché di base sono gli accordi di pace con i Cordì a non soddisfarlo per nulla. «Voglio capire questa pace che hanno fatto fino a che punto è, no? Se è pure per la politica? – sbuffa – Se sono d’accordo pure su questo… e allora qualche accordo c’è stato, hai capito, no, quello che ti voglio dire? Perché sono amalgamati!». Un accordo di interesse, a detta sua. «Non ci sono partiti qua. Per i soldi hanno solo… è la politica sua, e dalla politica si fottono i soldi e va bene, questo non c’è bisogno che lo dice nessuno – afferma – ma per i voti no, per la politica è diverso. Hai capito? La politica, cioè, a livello di politica deve essere diverso». E invece no. Anche sulle elezioni – sono convinti gli investigatori – è stato raggiunto un accordo.
RIBELLIONE? Con buona pace delle isteriche prese di posizione del boss, che urla «io me ne fotto se so che votano a destra, se ho un voto di mia moglie lo faccio andare a sinistra, non hai capito, proprio per … anzi neanche la faccio votare, ti dico di più nemmeno a sinistra a nessuna parte, gli dico stai a casa vaffanculo». La contrarietà di Cataldo però non è meramente di principio. Tanto meno è legata solo agli attriti con lo zio Francesco Cataldo, all’epoca vertice del clan. «Io me ne “fotto” di lui e del potere suo, del potere di che? che si dividono i soldi con chi? Con i Cordì?, che si dividono i voti con i Cordì’? Io me ne “fotto” di lui, non hai capito! Io me ne fotto dei soldi suoi, dei voti suoi e della politica sua, me ne fotto di tutti!» dice arrabbiato. Ma per Cataldo, le elezioni sono un problema concreto.
L’AVVOCATO CANDIDATO E INDAGATO Schierato nella lista opposta a quella di Calabrese c’è l’avvocato Pino Mammoliti, storico assessore di Locri, ma difensore del clan Cataldo e di altri della loro galassia. Per la Dda però la sua vicinanza ai clan di Locri non sarebbe solo professionale, per questo è stato iscritto sul registro degli indagati. Sospetti che le involontarie confidenze di Cataldo sembrano confermare. «Cento persone erano dalla parte degli Zucco – inizia a contare – cinquanta persone, gliele porta come ti dico, glieli raccoglie, mio cugino Franco, là, (Francesco Cataldo cl. ‘58, n.d.r.) non hai capito, e li raccoglie altre cinquanta persone hai capito? E sono centocinquanta, altri cinquanta glieli portano gli Staltari, Aurelio e compagnia bella, là difende pure a questi degli ScaliI, tanto per essere, e gli portano altri cinquanta voti». Almeno a rigor di logica. Perché poi – realizza – «bisogna vedere come si sono messi d’accordo, non hai capito, ecco perché, volevo capire chi vince prima».
A UN SOFFIO DALLA VITTORIA Nonostante il gran numero di voti raccolti, che in parte sembrano rispecchiare le stime di Cataldo, Mammoliti non ce la fa. Ma è il suo più grande sostenitore a inguaiarlo con la Dda, riconoscendo che «non è stato eletto però è stato il primo di noi … 560 voti… perché nella mia famiglia si votava, dovrebbero votare Mammoliti». Un soggetto che al clan avrebbe dato non solo assistenza professionale. Ma anche aiuto logistico e informativo. Sarebbe stato lui, dice il pentito Domenico Oppedisano, a dare la sua carta d’identità a Peppe Mollace per permettergli di circolare. Sempre il legale, si sarebbe occupato di dispensare consigli ai suoi assistiti per evitare che inciampassero in indagini,
o incappassero in microspie e telecamere.
FUGA DI NOTIZIE O MILLANTERIE Ma Mammoliti – a detta di Antonio Cataldo – sarebbe stato soprattutto in grado di anticipare indagini in corso e arresti imminenti. «Si vede, o qualche giudice che glielo dice, perché evidentemente qualche giudice, c’è qualche giudice sotto, qualche magistrato sotto che gli dice queste cose! Perché io non so come cazzo fa a saperlo» commenta. Millanterie del legale o ottime e illecite entrature? Toccherà alle indagini appurarlo. Ma un’idea investigatori e inquirenti sembrano averla.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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