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Loculi, pizzo e un uomo al Comune: i tentacoli dei Grande Aracri

CATANZARO Alfonso Pietro Salerno, detto “Fronzo” – secondo i magistrati della Dda di Catanzaro che reggono l’accusa nel processo Kyterion, contro la cosca Grande Aracri, imperante a Cutro e con pot…

Pubblicato il: 23/07/2017 – 5:54
Loculi, pizzo e un uomo al Comune: i tentacoli dei Grande Aracri

CATANZARO Alfonso Pietro Salerno, detto “Fronzo” – secondo i magistrati della Dda di Catanzaro che reggono l’accusa nel processo Kyterion, contro la cosca Grande Aracri, imperante a Cutro e con potenti ramificazioni e addentellati in Calabria e nel Nord Italia – è affiliato al clan crotonese al quale sarebbe legato da un rapporto diretto col boss Nicolino Grande Aracri. Ma Salerno si fregia anche del ruolo di impiegato comunale a Cutro, un compito che avrebbe portato alla cosca diversi vantaggi. A rimarcare tali ipotesi accusatorie ci sono i recenti verbali del collaboratore di giustizia Giuseppe Liperoti, genero di Antonio Grande Aracri, fratello del boss Nicolino. Saltato il fosso nella scorsa primavera, Liperoti, 37 anni, il 7 giugno fa mettere nero su bianco che Alfonso Salerno all’interno del Comune «era praticamente u referente nuostru». Di qualsiasi cosa avessero bisogno «o cu nu sindacu o cu l’ufficio tecnico o qualsiasi lavoro che doveva uscire dal Comune insomma, noi eravamo costantemente aggiornati da lui». A questo punto il pm Domenico Guarascio chiede un riscontro concreto, un esempio di questo prodigarsi di Salerno.

QUARANTA LOCULI AL CIMITERO «Praticamente si stava facendo l’ampliamento del cimitero nuovo – risponde pronto Liperoti – e praticamente c’erano dei loculi insomma da… da fare domanda». L’idea, spiega il pentito, venuta in mente a suo suocero Antonio, era quella di pigliarsi una quarantina di loculi «e lui (Antonio, nda) tramite con Alfonso sbrigavano sta carte a chi intestarli sti loculi che poi erano sempre riconducibili a noi come famiglia». L’intento era, naturalmente, quello di venderli – «ca poi magari c’i cedìamu ad ancunu» – facendo mercato dei posti al cimitero.

IL GANCIO A CATANZARO Oltre a curare gli affari col Comune, Alfonso Salerno sarebbe stato l’anello di congiunzione con Genaro Mellea, alias “Piero”, l’uomo che la Procura di Catanzaro accusa di associazione mafiosa, quale articolazione autonoma del locale di Cutro nella città di Catanzaro e zone limitrofe. Era Mellea, racconta Liperoti, che prendeva i soldi delle ditte di Catanzaro e che teneva buoni gli zingari. Perché gli zingari, se gli davi poco denaro, cominciavano a provocare danneggiamenti e dispetti alle ditte sotto estorsione da parte della cosca crotonese. Ma l’imprenditoria di Catanzaro – una terra di mezzo sotto scacco tra gli zingari e i cutresi – doveva rispondere anche agli Arena di Isola Capo Rizzuto. Non se lo dimentica Giuseppe Liperoti che specifica che Mellea, doveva sì gestire il capoluogo e tutto il circondario ma non da solo: «Assieme a Franco Gentile però pure. Franco Gentile era pe l’Arena» mentre “Piero” era per i Grande Aracri. Attraverso le parole di Liperoti, dunque, emerge anche uno spaccato criminale della città capoluogo.

IL RUOLO DIPLOMATICO DI MELLEA «… bisognava dialogare con tutti gli altri che erano presenti a Catanzaro?», sintetizza il pm. «Sì – risponde il collaboratore – era lui che aveva il compito di dialogare con tutti…». Era Mellea che dava una quota su ogni estorsione agli zingari, attraverso “u tubu”, ossia Cosimino Abbruzzese, considerato esponente di punta del clan degli zingari: «praticamente c’era “u tubu” ca irri pijavanu i sordi insomma».
Il ruolo diplomatico di Mellea, emerge dai racconti di Liperoti, teneva in equilibrio le tensioni a Catanzaro. 
In una occasione, ricorda il pentito, gli zingari avevano fatto danni a una ditta. La causa, scoprirono poi, dipendeva dal fatto che il gancio degli Arena, Franco Gentile, aveva tenuto per sé la quota da dare ai rom. In quella occasione Mellea aveva riferito alla cosca che aveva provveduto lui a pagare gli zingari, «anziché darli Franco Gentile li aveva dati lui per tenerli buoni».

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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