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I nuovi “padroni” di Reggio nei guai per una rissa

REGGIO CALABRIA Sono giovani ma hanno già iniziato a farsi conoscere. E nel peggiore dei modi. Da almeno due anni in città sono sinonimo di guai, risse, pestaggi, omertà. Li conoscono come “i Tegan…

Pubblicato il: 24/07/2017 – 8:22
I nuovi “padroni” di Reggio nei guai per una rissa

REGGIO CALABRIA Sono giovani ma hanno già iniziato a farsi conoscere. E nel peggiore dei modi. Da almeno due anni in città sono sinonimo di guai, risse, pestaggi, omertà. Li conoscono come “i Teganini”, hanno base ad Archi e nelle vene il sangue delle grandi famiglie di ‘ndrangheta che si sono massacrate nella guerra di mafia di fine anni 80 per poi ricominciare a fare affari insieme. Attorno a loro hanno aggregato un gruppo composito, che sembra ricalcare le liste degli imputati dei grandi processi di ‘ndrangheta. Gruppi satellite e grandi famiglie. Carne da cannone e “giovanotti” che si sentono boss. E come tali pretendono di essere riconosciuti.

IMPUNITÀ Ma alla strategia del “basso profilo e carsica infiltrazione” dei padri hanno preferito le azioni eclatanti. Ed ecco risse, feste, tavoli in bella vista nei locali, raid, pestaggi e violenza. Con la sensazione di essere intoccabili, perché protetti dall’omertà che il casato di ‘ndrangheta cui appartengono garantisce. E forse proprio per questo sono caduti. Per un motivo che “in famiglia” potrebbero definire “stupido”: hanno massacrato di botte due poliziotti sotto lo sguardo di due telecamere.

I NOMI DEI GIOVANI ARCOTI INDAGATI PER RISSA In dodici adesso sono indagati per rissa e lesioni al termine dell’inchiesta condotta dalla Squadra mobile di Reggio Calabria. C’è il gruppo dei Teganini, o almeno alcuni: Domenico Tegano, Antonino Gangemi, Alessio Sinicropi, Domenico Monorchio, Pasquale Laruffa, Gianluigi Saverio Bevilacqua, Paolo Laganà, Giovanni Tegano, e quello dei “giovanotti” della Piana con cui si sono scontrati, Michelangelo Michelizzi, Biagio Garruzzo, Cosimo Consiglio, Rocco Biagio Comandè e Michele Consiglio. L’avviso di conclusione indagini nei loro confronti, firmato dal pm Roberto Di Palma, è stato notificato nei giorni scorsi, turbando gli esordi di una stagione estiva che già progettavano da protagonisti, fra magnum di vodka e tavoli nei privè.

RISSA IN PIENO CENTRO I fatti risalgono all’estate scorsa. I “Teganini” e una banda di “pianoti”, altro branco di coetanei considerati vicini ai clan della Piana, erano venuti alle mani in pieno centro cittadino per un complimento alla ragazza sbagliata. Uno scontro feroce scoppiato, durante il quale era saltato fuori anche un coltello, e andato in scena sul lungomare, in una delle tante notti lunghe della movida estiva in città. Accortisi della rissa in corso, i due poliziotti in borghese erano intervenuti, ma sono stati massacrati. Le due bande hanno dimenticato le divergenze per scatenare la loro violenza contro i due uomini. Occhi pesti, nasi rotti, trauma cranico, contusioni al bacino, alle costole, contusioni nella regione addominale.

LA FIRMA Allertata dai due poliziotti e da diverse chiamate dei cittadini al 113 è arrivata una volante, e i Teganini e gli altri si sono dileguati. Ma le telecamere hanno registrato tutto. E nei giorni successivi al pestaggio dei due agenti, i loro colleghi hanno iniziato a lavorare. Non solo sulle immagini. Perché da tempo i Teganini erano sotto osservazione. E sono stati loro, nelle loro improvvide chiacchierate, a mettere la firma sul pestaggio. La conferma è arrivata direttamente da quello che da tutti è considerato il capo: Domenico Tegano, meglio conosciuto come Mico.

MICO IL GIOVANE BOSS Biondo, faccia pulita, occhialini quasi da intellettuale, sempre in camicia come un giovane professionista, Mico Tegano è considerato il capo di una banda che fra cugini, compari e “fratelli di sangue” – così amano loro stessi definirsi – conta quaranta persone. E quando apre la bocca, quasi un secolo di storia di violenza di ‘ndrangheta si condensa nelle parole che pronuncia. «Quello biondo…sto cornuto… – sono le sue parole – è venuto a dirmi: sono della Polizia. Appena mi ha detto così: E a te chi cazzo… me ne fotto che sei della Questura. Ma vedi che gli ho tirato due calci in faccia fermo… ma sai come? fermo…a quello biondo… mancu li cani Signuri».

CAPI E GREGARI Figlio di Pasquale Tegano, uno dei vertici del clan di Archi, da tempo al 41bis, il neanche venticinquenne Mico Tegano si sente un capo. E anche i suoi lo riconoscono come tale. È dotato, scrivono gli investigatori in un’informativa, di un carisma criminale «fuori dal comune che, nonostante la sua giovane età gli garantisce il massimo rispetto sia da parte dei suoi fiancheggiatori, che dai soggetti estranei alla propria organizzazione». Gli fa da secondo il cugino, Giovanni, figlio di Bruno e di quella donna resa nota dal disperato urlo «uomo di pace» che ha rotto il silenzio davanti alla Questura da cui usciva ammanettato Giovanni Tegano. Sono loro – sostengono gli inquirenti e affermano gli investigatori – a guidare un gruppo che da almeno due anni terrorizza la città. Perché la rissa che li ha fatti finire nei guai è solo “un errore”. Ma il loro curriculum è molto più lungo. 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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