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L'ombra di Gladio sull'Italia

REGGIO CALABRIA La strategia stragista degli anni Novanta non porta solo la firma delle mafie. Anche un ben identificato settore dei servizi, storicamente vicino alla P2 di Licio Gelli, aveva il me…

Pubblicato il: 26/07/2017 – 21:41
L'ombra di Gladio sull'Italia

REGGIO CALABRIA La strategia stragista degli anni Novanta non porta solo la firma delle mafie. Anche un ben identificato settore dei servizi, storicamente vicino alla P2 di Licio Gelli, aveva il medesimo scopo. Si tratta VII Reparto del Sismi, il cosiddetto Ossi, incaricato di gestire i rapporti con Gladio, l’organizzazione paramilitare clandestina messa in piedi dalla Nato che per anni ha operato segretamente in Italia. Sulla carta, lo scopo era costruire una rete pronta a reagire in caso di invasione comunista. In realtà, inizia a mostrare l’inchiesta della Dda reggina, gli uomini di Gladio e gli agenti dei servizi che li controllavano, sono coinvolti in stragi, strani suicidi e forse attentati di piazza. Tutto sangue versato pur di non perdere potere.

SCENARI AVVERSI Negli anni Novanta gli uomini di quella rete hanno un problema. Con l’Urss in via di disfacimento insieme all’intero blocco sovietico, vengono meno le ragioni d’essere della struttura e Gladio viene cancellata. Ma il blocco di potere che dietro e attorno quella sigla si è nei decenni concentrato, trovando solidi appoggi nell’area piduista di Licio Gelli e nei vertici della destra eversiva italiana, non ha alcuna intenzione di perdere facoltà e arbitrari privilegi. Per questo – ipotizza oggi l’inchiesta della Dda reggina – anche settori dell’intelligence militare italiana hanno scientemente deciso di lavorare ad un piano per destabilizzare il Paese. Insieme alle mafie.

QUESTIONE DI SOPRAVVIVENZA Tanto le mafie, come i servizi avevano un problema. Comune. E il gip, tirando i fili dell’indagine del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, lo mette nero su bianco: «i nuovi equilibri geo-politici stavano mutando i meccanismi di un sistema in cui erano prosperate. La loro sopravvivenza era quindi legata alla necessità di impedire che quei cambiamenti travolgessero quel sistema».

LE DUE FASI Tanto i clan, come le schegge impazzite dei servizi non avevano intenzione di perdere una spanna del potere accumulato anche grazie a referenti politici e istituzionali miopi o compiacenti. Per questo progettano e lavorano ad un piano complesso, con una strategia da attuare in due fasi. Primo, la destabilizzazione e la strategia della tensione, per creare una generica sensazione di instabilità nel Paese, utile per imporre un “governo forte”. Secondo, una «finta-nuova classe politica etero-diretta, che aveva la precipua mission di garantire `Ndrangheta, Cosa Nostra e le altre mafie». Una parte del piano quest’ultima che ha chiamato altre e diverse forze occulte «sia paramassoniche piduiste che della destra eversiva». Settori con cui le barbe finte legate a Gladio potrebbero avere rapporti antichi.

ALL’ORIGINE DELLA RETE Le radici di tali corrispondenze di amorosi sensi affondano le proprie radici negli anni feroci della seconda guerra mondiale e si intrecciano con le attività di uno dei primi e più importanti agenti dei servizi segreti americani che abbiano operato sul territorio italiano, Frank Gigliotti. Agente della Sezione italiana dell’OSS (la prima agenzia di intelligence statunitense) dal 1941 al 1945, quindi passato alla Cia, al termine del conflitto ha continuato ad operare in Italia per coordinare le attività anticomuniste. Ma non solo. Secondo quanto emerso dai lavori della commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, sarebbe stato lui a ricostituire la rete delle logge massoniche in Italia.

QUESTIONI DI PALAZZO A confermarlo è uno degli storici grandi crucci del Goi, la perdita di palazzo Giustiniani, sede storica dell’obbedienza, confiscata durante il fascismo e rioccupata dai fratelli dopo la Liberazione. A dispetto delle indicazioni del Demanio pubblico, che per riappropriarsi del palazzo rinascimentale ha dovuto trascinare i massoni in tribunale. E sono stati proprio questi ultimi a soccombere di fronte ai giudici, che li hanno condannati non solo a restituire la sede, ma anche a versare un indennizzo di 140 milioni di lire. È qui che entra in gioco Gigliotti, presidente del “Comitato di agitazione” costituitosi negli Stati Uniti per appoggiare le rivendicazioni del Goi contro il governo italiano.

ACCORDO A PERDERE Grazie ai suoi buoni uffici, appoggiati dal Segretario di Stato americano Christian Archibald Herter, non solo strappa una sospensiva della sentenza, ma riesce a comporre la controversia in via extragiudiziale. Curiosamente, il governo italiano non solo rinuncia al maxi-risarcimento, ma concede al Goi l’affitto ventennale di un’ala di palazzo Giustiniani per solo un milione di lire. L’accordo viene firmato il 7 luglio 1960, dal ministro delle finanze Trabucchi e dall’allora Gran Maestro Publio Cortini, alla presenza dell’ambasciatore americano, J. Zellerbach, e Frank Giglíotti.

IL PRINCIPE NERO Forse in cambio del provvidenziale intervento o forse no, lo stesso anno – sempre su iniziativa di Gigliotti, viene incorporata nel Goi l’obbedienza del principe siciliano Giovanni Alliata di Montereale. Deputato del partito monarchico, negli anni Settanta è tra i fondatori del Movimento Nazionale di Opinione Pubblica e, a Milano, della Maggioranza Silenziosa, due movimenti “visibili” collegati con i gruppi, più “invisibili”, del radicalismo di estrema destra, da Ordine Nuovo al Mar. Ma le brutte frequentazioni del principe nero non finiscono qui. Destinatario di un mandato di cattura per il golpe Borghese e indagato per la Rosa dei Venti, indicato dai pentiti come uno dei mandanti della strage di Portella delle Ginestre, finanziatore di movimenti separatisti ed eversivi, solo in tarda età conosce il carcere. Finisce ai domiciliari nell’inchiesta Mani sporche del procuratore di Palmi Agostino Cordova, ma muore senza aver mai rivelato nulla delle proprie attività.

GELLI IL PUPILLO Alliata è uno dei cuccioli di Gigliotti, ma forse non il solo. Almeno secondo i parlamentari della commissione parlamentare antimafia sulla P2, che nell’introduzione scrivono «risalta altresì alla nostra attenzione la comparsa di Gelli sulla scena quando Gigliotti scompare, secondo una successione di tempi ed una identità di funzioni che non può non colpire significativamente. Si deve infine sottolineare come la denegata giustizia – nella quale sostanzialmente si concretò la mancata restituzione del palazzo confiscato dal fascismo – ebbe l’effetto di rendere la massoneria italiana indebitamente debitrice di quella nord americana. Nell’ambito del quadro sinora sinteticamente tracciato va vista e studiata l’attività di Licio Gelli e della Loggia Propaganda Due».

QUANTO PESA LA REGIA USA? Traduzione, i parlamentari puntavano a comprendere che influenza abbiano avuto logge e agenzie statunitensi nello sviluppo dello scenario politico italiano. Domanda rimasta di fatto senza una risposta precisa, ma che adesso potrebbe trovare posto nel quadro tracciato dall’inchiesta del procuratore Giuseppe Lombardo. Perché l’ombra della P2 sui quei pezzi imbastarditi di intelligence che hanno complottato insieme alle mafie contro la Repubblica.

LA RISPOSTA STA NELLA FIRMA A provarlo è un dato che si struttura a partire dalla Falange Armata, curiosa firma dietro cui mafie e servizi si sono nascoste per rinvendicare attentati e fatti di sangue apparentemente slegati fra loro. «Ideata ed utilizzata da appartenenti infedeli ai Servizi di Sicurezza» si legge nelle carte, è stata utilizzata «sia per regolare conti interni ai servizi stessi, sia per essere messa a disposizione, inizialmente in funzione di depistaggio, delle azioni criminali eseguite delle organizzazioni mafiose».

LA DENUNCIA DI FULCI Sono innumerevoli i pentiti, inclusi gli autori di attentati e omicidi, ad affermare che le mafie si siano nascoste dietro la sigla Falange Armata. Diverse – e in alcuni casi confermate da sentenze definitive – le inchieste
che confermano tali rivelazioni. Ma anche sull’uso strumentale della sigla da parte dei servizi ci sono testimonianze di peso. Ben prima dell’inizio della stagione stragista, la Falange Armata ha rivendicato le innumerevoli intimidazioni subite nel ’90 dall’ex Ambasciatore Paolo Fulci, dopo una lunga e brillante carriera in diplomazia, divenuto  Segretario Generale del Cesis, l’organismo di controllo e coordinamento dei due servizi d’informazione “operativi” dell’epoca, il Sisde ed il Sismi.

PRESIDENTE INGOMBRANTE Ancor prima che la notizia divenisse ufficiale, Fulci ha iniziato a ricevere minacce e intimidazioni. Per il gip, è «evidente che solo un soggetto che avesse un qualche interesse a fare la minaccia e, al contempo, avesse l’informazione della nomina del Fulci, poteva essere l’ignoto falangista. E non v’è chi non veda come solo un soggetto interno agli apparati (e non certo un quanlsiasi mitomane) potesse avere l’informazione e soprattutto potesse coglierne il rilievo e avere l’interesse ad intimidire il diplomatico. La nomina, infatti, era di un soggetto estraneo agli apparati che non aveva mai nella sua vita, in alcun modo, interferito con gli interessi di chi apparteneva ai Servizi».

INDAGATE SULL’OSSI Monitorato e intercettato in ambientale non appena entrato in servizio, Fulci ha deciso di vederci chiaro. E ha disposto delle indagini, riservatissime e delegato solo ad un uomo di fiducia, mirate a stanare gli autori delle minacce. Uomini – sospettava già all’epoca il presidente del Cesis – che potevano annidarsi solo all’interno dei servizi stessi. A confermare le sue intuizioni sono state le indagini del suo assistente, che hanno svelato come «i soggetti che, all’interno del Sismi, potessero avere maggiore collegamento con le attività falangiste fossero quelli inseriti nel Nucleo OSSI della Settima divisione del Sismi».

L’ELITE Tutte risultanze portate all’attenzione del comandante generale dei carabinieri, cui l’allora presidente del Cesis ha chiesto di indagare su «15 funzionari del Sismi, che prestavano servizio presso il nucleo Ossi», sospettati di far parte di una «struttura occulta dei servizi deviati che svolgeva una campagna di “intossicazione”, disinformazione e aggressione ad esponenti istituzionali, che si poneva in continuità con la politica piduista dei vecchi apparati Sid/Sifar».

GLADIO NON SI TOCCA Una struttura che secondo Fulci – ha poi spiegato il comandante dei carabinieri, ascoltato dalla Digos di Roma nel 93 –  puntava a intimidire, infangare o  minacciare «tutti i soggetti di rilievo istituzionale o pubblico che avessero evidenziato perplessità sulla cd Operazione Gladio individuando, anche legami fra, questa e la P2». Un’intuizione corretta, ma incompleta. Perché pur di mantenere inalterato il proprio sterminato potere, quei settori hanno progettato di sovvertire la democrazia e prendere in mano il Paese. 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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