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«Ultima chiamata per il Sud»

»Speriamo sinceramente che sia la volta buona. Per il nostro Mezzogiorno e per tutto il Paese. Il decreto per il Sud è in dirittura d’arrivo. Dopo l’approvazione con fiducia al Senato siamo certi che…

Pubblicato il: 28/07/2017 – 8:05
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«Ultima chiamata per il Sud»

»Speriamo sinceramente che sia la volta buona. Per il nostro Mezzogiorno e per tutto il Paese. Il decreto per il Sud è in dirittura d’arrivo. Dopo l’approvazione con fiducia al Senato siamo certi che esso diventerà legge dello Stato entro la prossima settimana. Lanciato con grande clamore dal ministro De Vincenti e salutato positivamente da regioni e comuni meridionali, ieri improvvisamente ha registrato un momento non esaltante trasformandosi in un maxi emendamento del governo e diventando di fatto l’ennesimo decreto Omnibus nel quale ci si mette di tutto e di più.
Sono state infatti inserite delle norme che niente hanno da spartire con gli obiettivi per il quale era nato il provvedimento. Mi chiedo infatti che legame abbiano con l’economia del Mezzogiorno, l’attuazione di una direttiva europea sulle buste di plastica, alcune norme sulle competenze della Protezione civile, provvedimenti per i servizi di trasporto pubblico locale, il trattamento pensionistico dei lavoratori dell’amianto, le attività didattiche nelle scuole, i rimborsi fiscali ed, infine due ciliegine sulla torta, un contributo straordinario all’Accademia di Santa Cecilia e le celebrazioni in onore di Antonio Gramsci. Potrebbero sembrare quisquilie ma non lo sono.
Sono infatti il frutto di una mentalità ormai consolidata in gran parte della classe politica italiana per cui si pensa al Mezzogiorno come al grande malato d’Italia, si propone un intervento legislativo importante con significativi e strategici intendimenti e poi si produce la sensazione che “hai voglia di far centro… ma poi, tutto il resto è noia”.
Quando l’attenzione di un governo si rivolge al Sud con la determinazione con cui è stato voluto dal ministro questo provvedimento si creano delle aspettative che non dovrebbero essere deluse da innesti diversi che ne sminuiscono l’importanza.
Non vorremmo che sia l’ennesima cartina di tornasole per quella zona d’Italia che ai più appare ormai solo come un serbatoio di consensi elettorali di cui appropriarsi per la conquista del governo del Paese.
Del resto ormai la ripresa in Italia è partita ed anche se il Mezzogiorno, con un reddito pro capite pari al 66% della media nazionale, cerca di avvinghiarsi ad essa, non potrà mai scrollarsi di dosso la rappresentazione che finora di esso si è data. E cioè del fanalino di coda di tutta l’Europa, che non riuscirà mai a decollare per responsabilità ormai consolidate.
Infatti ogni approccio al problema si trasforma in un atto di accusa nei confronti dei meridionali, per cui la colpa è delle associazioni criminali che controllano il territorio, delle inefficienze e degli sprechi nella pubblica amministrazione, della sanità allo sfascio, delle imprese che non riescono nemmeno ad utilizzare i bonus del Jobs act di Renzi.
Eppure qualche dato interessante c’è stato e potrebbe offrire lo spunto per razionalizzare meglio gli interventi diretti al Sud. Ad esempio qui il ritmo di crescita delle start up è stato doppio rispetto al Centro Nord. La crescita economica in settori come l’agricoltura, l’edilizia e il terziario è partita prima al Sud e nel 2016 è stata maggiore che nel Centro Nord consentendo di equilibrare il tasso nazionale. Lo spirito creativo e l’operatività dei meridionali dunque ha fatto in qualche modo la differenza, nonostante negli ultimi anni siano calati gli investimenti pubblici. Il decreto legge, pur con tutte le sue limitazioni, offre sicuramente una buona occasione, forse l’ultima che il Sud non può rischiare di perdere. Le misure economiche contenute nel decreto sono molto interessanti, specialmente se sommiamo i 1600 milioni di incentivi ai 900 milioni destinati ieri dal Ministro Calenda ai contratti di sviluppo. Ma l’impostazione complessiva ci fa sollevare qualche perplessità. Ottima la Banca delle terre che serve per assegnare beni abbandonati ai giovani tra i 18 e i 40 anni. Ottima la scelta del nome “Io resto al Sud” della misura economica che offre 50 mila euro ai giovani tra i 18 e i 35 anni per convincerli a non partire e a costituire nuove attività produttive. Certamente sensazionale!
Ma ha senso incentivare la nascita di 100mila imprese in un territorio dove la grave carenza di infrastrutture logistiche diventa incredibilmente ostativa alla realizzazione di un mercato economico in grado di mettere in moto una organizzazione produttiva stabile di una certa dimensione e di garantirne la competitività nazionale? Tutte le iniziative intraprese nel passato dai Governi nei confronti del Mezzogiorno si sono trasformate in uno spreco di grandi risorse finanziarie con dispersione a pioggia su migliaia di progetti mai effettivamente decollati. Finalizzare degli investimenti alla creazione di un numero elevatissimo (100 mila) di iniziative imprenditoriali piuttosto che guardare alla qualità delle aziende, alla loro dimensione e alla capacità di stare sul mercato nazionale ed internazionale, potrebbe paventare il rischio che nemmeno questo provvedimento abbia il necessario impatto economico sul tessuto produttivo del Mezzogiorno. L’esperienza più recente infatti non è per nulla positiva.
Il Piano Industria 4.0 del ministro Calenda che sta spingendo al massimo la produzione industriale italiana soprattutto quella del settore tecnologico, ha avuto un forte impatto al Centro Nord dove le imprese sono riuscite a riservare a loro favore quasi 9 miliardi in dieci anni, mentre soltanto 650 milioni sono stati utilizzati dalle imprese del Sud. Questo la dice lunga sulla capacità degli incentivi economici di rilanciare il tessuto produttivo di un territorio complicato come quello del Mezzogiorno. Non bastano quindi 100mila nuove imprese se non sono presenti le condizioni infrastrutturali complessive capaci di renderle competitive con le imprese del Centro Nord.
E se pure ritengo che le Zone economiche speciali (Zes) siano necessarie, ed anzi si sarebbero dovute fare qualche decennio fa, esse non sono sicuramente sufficienti. Soprattutto per quanto riguarda Gioia Tauro non possiamo che rammaricarci per il fatto che non si sia ancora deciso il futuro del più grande porto del Mezzogiorno e che, per la grave assenza di collegamenti terrestri, specie ferroviari, non sia ancora potuto diventare la porta di accesso al Mercato europeo.
Nonostante il provvedimento del governo sia importante, non riesco ad individuare in esso una strategia complessiva favorevole per creare le condizioni per un rilancio definitivo del Mezzogiorno e per avvicinarlo in modo permanente al resto del Paese.
E allora è necessario che le classi dirigenti meridionali cambino rotta, la smettano di correre verso la ricerca demagogica del consenso, e si attrezzino adeguatamente per affrontare definitivamente il problema del Mezzogiorno.
Non lo faranno tutti ma tra di essi ci sono anche ottimi ed onesti amministratori, imprenditori eccellenti e coraggiosi che vivono la voglia di riscatto che anela nell’animo dei meridionali. Si appoggino ad essa per rivitalizzare il proprio territorio ma soprattutto per impedire a quella bomba ad orologeria, rappresentata dalla gran massa di disoccupati, il 21 % della popolazione adulta ed il 56,3% di quella giovanile, il doppio di rispetto a quella del Paese, di deflagrare rovinosamente.

*Componente della Direzione nazionale Partito Repubblicano italiano

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