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Gli armatori Ranieri: «Stanchi delle minacce, lasceremo la Calabria»

SOVERATO «Non è possibile fare impresa in Calabria. Siamo esasperati e stiamo pensando di lasciare la regione. Abbiamo già ricevuto proposte da Comuni del Nord e dall’estero, con agevolazioni molto…

Pubblicato il: 05/08/2017 – 17:05
Gli armatori Ranieri: «Stanchi delle minacce, lasceremo la Calabria»

SOVERATO «Non è possibile fare impresa in Calabria. Siamo esasperati e stiamo pensando di lasciare la regione. Abbiamo già ricevuto proposte da Comuni del Nord e dall’estero, con agevolazioni molto vantaggiose. Il nostro desiderio, naturalmente, è quello di restare, qui abbiamo un’impresa con quasi 70 dipendenti ma qualcuno deve porre fine a questo scempio». Lo «scempio» – come lo definisce Salvatore Ranieri, figlio di Pietro e fratello di Antonio Ranieri, 39 anni, famiglia di affermati armatori di Soverato, titolari della “Motonautica Fratelli Ranieri srl” e della “Ranieri International”, conosciuti in tutto il mondo –  sono le angherie, puntualmente denunciate, che la famiglia riceve reiteratamente dal 2009. Estorsioni, danneggiamenti, diffamazione a mezzo Facebook, denigrazione dell’impresa. Un fardello di problemi troppo pesante da gestire e sopportare. Uno stato di angoscia che ha spinto la famiglia a cambiare le proprie abitudini di vita.
Basti pensare che solo nell’ultimo anno, assistiti dall’avvocato Michele Gigliotti, I Ranieri hanno presentato almeno 10 querele (quasi una al mese) nei confronti di Antonio Ranieri, classe 1953, fratello del capostipite Pietro. Il marchio Ranieri è nato sul finire degli anni ’60 su iniziativa di Pietro, spiegano gli armatori in una delle tante querele, con la collaborazione dei propri fratelli. Ma gli attriti col fratello Antonio hanno portato nel 2005 alla scissione aziendale. «Le motivazioni della separazione aziendale risiedono nella diversità di visione, nell’approccio al lavoro, quanto nelle frequentazioni personali del querelato, pericolose a tal punto che, come intuito, lo stesso Antonio Ranieri è stato più volte coinvolto in gravissime vicende di cronaca giudiziaria», scrivono i querelanti riferendosi a operazioni della Dda di Catanzaro come “Itaca free boat”, procedimento nel quale Antonio Ranieri è stato rinviato a giudizio con l’accusa di essere vicino e organico a consorterie di ’ndrangheta del basso Jonio catanzarese. Un processo nel quale la famiglia di Pietro Ranieri è stata riconosciuta parte lesa e nel quale chiederà di costituirsi parte civile nella prossima udienza di settembre. 

LE ACCUSE DEL PROCESSO ITACA Secondo l’accusa, rappresentata dal sostituto procuratore della Dda Vincenzo Capomolla, Antonio Ranieri (in concorso con Gianfranco Gregorace, Beniamino Ammiragli, Antonio Saraco, per i quali si procede separatamente), avrebbe costretto, con minacce implicite ed esplicite, derivanti dalla forza intimidatrice del vincolo associativo mafioso, Mario Grossi – e, attraverso mediatori, anche Carlo Stabellini, soci della Salteg srl, società titolare del porto di Badolato – ad affidare la gestione del porto alla Ranieri Boat Service. Un affare lesivo nei confronti dello stesso fratello di Antonio Ranieri, Pietro. Che, insieme ai suoi figli, aveva già pattuito e concordato modalità economiche e contrattuali con la Salteg che sono state improvvisamente rescisse. I fatti rilevati dagli investigatori, e oggetto del capo d’imputazione, risalgono al periodo marzo-maggio 2009.

LE DIRETTE FACEBOOK E GLI INSULTI La vita della famiglia di Pietro Ranieri, come traspare dalle querele, viene ripetutamente scossa dalle iniziative del parente. Angherie – così sono considerate nelle denunce – che hanno portato a querele per diffamazione aggravata, illecita concorrenza con minaccia o violenza e atti persecutori. Senza contare le dirette Facebook nelle quali Antonio Ranieri si cimenta spesso e volentieri insultando i propri parenti che ha deciso di battezzare «serpenti». Egli definisce suo fratello Pietro «serpentone o serpente matusa» e i nipoti «serpentelli». E non lesina loro pesanti insulti. L’ultima “esibizione” risale a venerdì mattina. Antonio Ranieri, sempre parlando di serpenti e serpentelli, dopo averli chiamati esplicitamente «cornuti consenzienti» invita i nipoti a fare un esame del Dna. Lo show di Ranieri ha suscitato più di un commento di indignazione al quale lui, imperturbabile, ha reagito affermando di avere i suoi motivi. Le esternazioni sono così fuori luogo che la stessa figlia di Antonio Ranieri è intervenuta con un commento definendo quelle del padre «affermazioni degenerate» da scindere dalla diatribe familiari.
Nel frattempo, però, gli insulti e le insinuazioni del 64enne restano senza problemi online. Nonostante le querele, Antonio Ranieri continua. Tanto che la famiglia del fratello, si legge in una querela, «essendo profondamente spaventati per le pesanti molestie e minacce, persuasi che il querelato disponga di mezzi per attentare alla nostra incolumità o a quella di un nostro familiare, convivono con un perdurante stato d’ansia che richiede cure medico specialistiche di cui ci si riserva di produrre la relativa documentazione».

L’INCIDENTE DEL MAMAS E resta online anche il «ti rompo il c…» rivolto al maresciallo Giuseppe Di Cello, comandante dei carabinieri di Soverato intervenuto a giugno scorso quando Antonio Ranieri si era impuntato a non far passare nessuna automobile nelle proprietà di accesso al locale Mamas che i suoi parenti avevano dato in gestione. Nel video il 64enne afferma di avere impedito il passaggio delle macchine perché in quei luoghi molti portavano droga. All’arrivo dei carabinieri, sempre accompagnato dall’immancabile diretta Facebook, Antonio Ranieri si era buttato per terra affermando di essere stato «violentato anche dai carabinieri». A poche ore di distanza mostra le braccia escoriate e ammonisce il maresciallo di astenersi dal fare violenza contro la sua persona «sennò la prossima volta sono c… amari».

NESSUNA TUTELA Nessuna serenità, continui insulti, tentativi di denigrare l’azienda del fratello Pietro. E quelle pagine Facebook che restano impunite e che, anzi, vengono postate più volte. 
«Abbiamo il diritto di essere tutelati, come tutti. Ci siamo rivolti alla Procura della Repubblica di Catanzaro, alla Prefettura, alla Squadra mobile di Catanzaro e ai carabinieri di Soverato». Quello di Salvatore Ranieri è un appello agli organi dello Stato. «Siamo cittadini onesti che fanno impresa – dice – paghiamo le tasse e diamo lavoro a quasi 70 famiglie. Nessuno sta intervenendo per darci un po’ di respiro, per garantirci quei diritti che ormai da anni ci vengono negati». In 10 anni le imprese di Pietro Ranieri hanno raggiunto livelli di eccellenza. Un fiore all’occhiello per la Calabria. Basti pensare che che lo stand della Ranieri International presso la Fiera di Genova è tra i più grandi e che l’azienda rientra nella top five delle imprese del suo settore in Europa. L’avvocato Gigliotti non si ferma: «Continueremo a sporgere querele a ogni insulto e ad ogni aggressione», dichiara. «Basta, sono 10 anni di abusi», afferma Salvatore Ranieri che nel mese di luglio ha effettuato un viaggio negli Stati Uniti ed esattamente a Fort Lauderdale, in Florida, onde valutare l’adeguatezza di impianti di produzione ove poter trasferire la loro nuova sede. Senza nessun intervento si rischia di recidere il legame tra un’eccellenza calabrese e il territorio.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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