«Hai visto come abbiamo ammazzato a tuo figlio?»
VIBO VALENTIA Una mamma che parlava troppo, sia con i suoi paesani che con le forze dell’ordine. Una mamma che nell’estate di sangue vissuta a Mileto nel 2013 aveva perso un figlio, ucciso per vendet…

VIBO VALENTIA Una mamma che parlava troppo, sia con i suoi paesani che con le forze dell’ordine. Una mamma che nell’estate di sangue vissuta a Mileto nel 2013 aveva perso un figlio, ucciso per vendetta da una famiglia rivale. Marianna Ventrici è la madre di Angelo Antonio Corigliano, 30enne ucciso il 20 agosto di quell’anno in un agguato nel centro del paese, ed è la moglie di Giuseppe, accusato di aver assassinato, un mese prima che ammazzassero il figlio, il 60enne Giuseppe Mesiano. Secondo gli inquirenti le due famiglie – i Mesiano e i Corigliano – farebbero riferimento allo stesso “locale” di ‘ndrangheta del popoloso centro del Vibonese capeggiato dal boss Pasquale Pititto, ma in un crescendo di contrasti e ritorsioni avrebbero dato vita a una vera e propria faida che ha portato a due agguati mortali consumati nel giro di un mese. Una guerra di minacce e ritorsioni in cui le donne non avrebbero rinunciato a fare la loro parte.
«TE LO SEI GIOCATO TU A TUO FIGLIO» Oltre alle cinque persone finite in manette nell’operazione portata a termine lunedì dal carabinieri di Vibo (qui e qui i dettagli), nell’inchiesta “Miletos” ci sono anche altri indagati che la notte prima degli arresti sono stati perquisiti per disposizione della Dda di Catanzaro. Alcuni di loro sono familiari di Franco Mesiano – già condannato a 20 anni per l’omicidio di Nicholas Green e ora accusato di essere il mandante dell’omicidio di Angelo Antonio Corigliano – e secondo la Procura antimafia si sarebbero resi autori di pesanti minacce, aggravate dal metodo mafioso, nei confronti di Marianna Ventrici. Una sorella di Mesiano, in particolare, mentre era alla guida del suo Fiorino avrebbe tentato di investire la donna, provocandole assieme a un fratello «lesioni personali consistite in “una contusione al polso destro guaribile in 10 giorni”».
L’episodio racconta molto del clima che si respirava tra i componenti delle due famiglie. Dopo aver provato ad andarle addosso mentre era a piedi in una via centrale del paese, la sorella di Mesiano sarebbe scesa dal suo furgone e avrebbe iniziato a strattonare Marianna Ventrici mentre sul posto arrivavano altri suoi fratelli, uno dei quali l’avrebbe anche presa a calci. Diversi componenti della famiglia “rivale” avrebbero poi cominciato a inveire contro la donna: «Puttana ancora non moristi. Ancora na vidisti a testa n’to saccu. Devi scomparire da Mileto. Vi meritate tutti ammazzati». E ancora: «Vi ammazzo a tutti. Te lo sei giocato tu a tuo figlio. Voi dovete fare tutti la stessa fine». Sul posto sarebbe quindi accorso lo stesso Franco Mesiano che avrebbe detto alla donna: «Hai visto come abbiamo ammazzato a tuo figlio? Dovete sparire tutti da Mileto specialmente tu puttana. Tuo figlio lo hai perso perché non hai saputo tenere la bocca chiusa».
Frasi con riferimenti piuttosto eloquenti all’omicidio del figlio e al fatto che la donna, che aveva già denunciato diverse minacce alle forze dell’ordine, secondo i Mesiano avesse parlato troppo.
«VERRANNO I GIORNI DEL GIUDIZIO» La stessa Marianna Ventrici, d’altra parte, raccontava questi episodi al marito Giuseppe, all’epoca in carcere per detenzione abusiva di un fucile a canne mozze e oggi accusato dell’omicidio di Giuseppe Mesiano, padre di Franco, in concorso con il figlio poi ucciso. Nella sala colloqui del carcere di Vibo, tra novembre e dicembre del 2013, Giuseppe Corigliano parla con la moglie, con la figlia e con il genero. E sono diverse le conversazioni da cui emerge la certezza sul contesto in cui sono maturati i due omicidi e i propositi di vendetta dei Corigliano contro i Mesiano. Al centro dei dialoghi c’è anche un compagno di cella di Giuseppe indicato «come appartenente ad una famiglia “sanguinaria”, i cui componenti venivano definiti testualmente “cristiani buoni”». Corigliano riferisce ai familiari cosa gli avrebbe detto il compagno di cella: «Perché questo qua dice “io non so quando – incomprensibile – perché se un domani voi non ci siete, ma speriamo che ci siete”, ha detto, “che se io ho la fortuna di uscire” ha detto di nuovo “devo scendere io là sotto con un paio di amici”». Il genero risponde con un eloquente «bellezza!!», alzando lo sguardo al cielo e facendosi il segno della croce. Giuseppe quindi rimarca: «Hai capito come? Eh…e qualche giorno… qualche giorno verranno… i giorni del giudizio verranno!». E ancora, sempre parlando con il genero: «Senti, tu devi pregare soltanto che tuo suocero campa altri quattro o cinque anni! (…) Questi cani lordi se ne devono andare!!».
I propositi di vendetta, secondo gli inquirenti, sono chiari e raccontano di come i Corigliano fossero attenti alle nuove amicizie strette in carcere, che a loro parere sarebbero potute tornare utili per una ulteriore vendetta da gustare fredda: «Questi amici mi possono essere utili per minari ‘ntou cozzu».
Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it