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La migrazione ribelle dei giovani senza opportunità

Dopo il voto del 4 marzo è ritornato in maniera imponente il dibattito sul Sud e in particolare sui giovani del Sud. Da ultimo, in queste ore, Dario Di Vico ci racconta dei giovani talenti che lascia…

Pubblicato il: 20/03/2018 – 22:32
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Federica Roccisano

Dopo il voto del 4 marzo è ritornato in maniera imponente il dibattito sul Sud e in particolare sui giovani del Sud. Da ultimo, in queste ore, Dario Di Vico ci racconta dei giovani talenti che lasciano il Sud tra mille sacrifici, sopportando estenuanti viaggi notturni in pullman. Sono racconti che ci parlano di giovani che non hanno più speranze nelle loro terre e soprattutto nella classe dirigente che governa le proprie comunità. Sì, perché quei giovani sono informati e istruiti, leggono i giornali e assistono, più o meno inermi, a dinamiche politiche che parlano più di proroghe e meno di opportunità. In Calabria, come nelle altre regioni del Sud, acquisisci il diritto alla visibilità se hai già operato in uno degli enti pubblici o in qualche realtà similare, diversamente non conti ed è difficile che qualcuno si preoccupi per te. Così per il giovane istruito e consapevole di meritare le proprie opportunità a prescindere dalle azioni dei pochi, la strada più facile è quella della partenza. E lo fa senza urlare, senza chiedere e senza cercare intermediazioni, perché sa che è un suo diritto prendersi quello che è suo, o almeno provarci, senza dover per questo ringraziare chicchessia. Così la migrazione giovanile prosegue e drena di cervelli, talenti e giovani energie le regioni del Sud; giorno dopo giorno lo spopolamento va ad interessare non solo le aree interne, ma anche quelle costiere e non si può immaginare che il problema si risolva da solo. Serve equità, servono azioni e interventi che generino fiducia. Anche i passi in avanti fatti nei mesi scorsi dopo il decreto Madia che ha portato, o porterà, alla stabilizzazione di molti precari storici, non hanno alleggerito la situazione dei giovani. Da un lato, infatti, siamo di fronte ad una pubblica amministrazione i cui dipendenti hanno l’età media di 50 anni o poco più, dall’altro ci si trova davanti a porte chiuse rispetto ai giovani per i quali sarà difficile trovare delle caselle libere nel pubblico impiego nei prossimi anni. Questi giovani non urlano sotto i palazzi del potere, né cercano la guerra tra poveri, perché spesso questo significherebbe fare guerra ai diritti pretesi dai loro padri, ma questi giovani meritano attenzione perché esistono e non possono permettersi di usare solo le urne per ribadire che si sono stancati di essere definiti il futuro perché loro lo sanno di essere il presente e sanno anche che il futuro potrebbe essere altrove e non più qui.

*ex assessore regionale al Lavoro

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